LOTTA AL COVID

Quasi 20mila i sanitari no vax.
Ancora a rilento le sospensioni

Solo tra i dipendenti regionali sono 3.200 a rifiutare il vaccino. Percentuali più alte tra operatori sociosanitari e infermieri. Oltre 300 medici di Asl e Aso renitenti. Nonostante numeri così alti pochi i provvedimenti presi. Flop la caccia agli over 60

È come entrare in una media città di provincia e sapere che nessuno dei suoi abitanti si è vaccinato e, per ora, non intende farlo. È la città dei sanitari no vax la cui popolazione che sfiora i ventimila abitanti, 18.248 per l’esattezza, è sparsa per tutto il Piemonte: negli ospedali, nelle cliniche private, nelle Rsa, negli ambulatori dei medici di famiglia e in quelli dei liberi professionisti, negli uffici delle Asl e nelle farmacie. 

Un numero ancora alto, pari al 10% del totale degli addetti del settore che ne conta sul territorio regionale 179mila. Alto, soprattutto perché chi lavora nel vasto ambito della sanità è obbligato, dallo scorso aprile e non dall’altro ieri, a vaccinarsi. Ancor più elevato e pesante questo numero se si pensa alle piccolissime cifre che solo da qualche giorno indicano i provvedimenti di sospensione presi nei confronti di chi, dopo aver avuto fin troppo tempo a disposizione e più di un’opportunità di potersi mettere in regola con la legge (e magari con la coscienza, avendo a che fare con malati o persone spesso comunque fragili) non lo hanno fatto. 

I dati resi noti nel corso di un incontro in assessorato con i sindacati per discutere proprio del tema del personale non vaccinato stridono con le fin troppo rassicuranti dichiarazioni che nelle scorse settimane, da più parti, erano arrivati sull’esiguità dei no vax. Certo ci sono differenze, anche notevoli, tra le varie figure professionali circa la consistenza numerica di coloro che rifiutano di vaccinarsi.

Questo emerge dall’ulteriore approfondimento fatto sul personale del sistema sanitario regionale (quindi senza il privato, di qualunque tipologia si tratti). Su un totale di 48.268 dipendenti, compresi i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta, i non vaccinati sono 3.297. Più dei numeri assoluti, tracciano il quadro le percentuali: i medici no vax sono il 3,80% del totale, indice che raddoppia per il personale infermieristico e quello addetto alla riabilitazione (ruoli entrambi molto delicati per quanto riguarda il rapporto con i pazienti) per salire all’11,34% per gli addetti all’assistenza e schizzare al 13,50 per gli operatori sociosanitari. E dei 2.846 medici di famiglia, chiamati a convincere quei loro assistiti che non lo hanno ancora fatto a vaccinarsi, 133 il vaccino hanno deciso di non farlo, così come 16 dei 372 pediatri di libera scelta che operano sul territorio regionale.

Numeri, specie per alcune figure, ancora troppo alti tanto da non rendere marginale il problema dei posti da colmare in seguito alle sospensioni. Se ne è parlato ieri nell’incontro in corso Regina e l’assessore Luigi Icardi ha assicurato “l’impegno a monitorare attentamente eventuali situazioni che possano compromettere l'erogazione dei servizi sanitari, così come ad accelerare le procedure di reclutamento a tempo indeterminato di nuovo personale sanitario del comparto da parte delle Asl”.

Dal fronte sindacale Claudio Delli Carri, segretario regionale della sigla di rappresentanza degli infermieri Nursing Up sostiene che "il sistema sanitario piemontese rischia seriamente di finire in una grave crisi. Già prima della pandemia gli ospedali e le strutture sanitarie vivevano una condizione di carenza cronica di personale più volte denunciata dal nostro sindacato. Senza alcun urgente correttivo oggi la situazione potrebbe diventare insostenibile". A dover sopperire a questa situazione – per il sindacalista – "è la Regione, che deve mettere a punto un piano per gestire in ogni azienda questa ulteriore perdita di personale garantendo il mantenimento di standard assistenziali, attività e posti letto”. Per Delli Carri “sospendere dipendenti la cui reperibilità sul mercato del lavoro è davvero complicata e può creare problemi. Abbiamo chiesto alla Regione un documento che possa essere da bussola per un comportamento comune a tutte le aziende in riferimento all'applicazione della legge che prevede la sospensione”. 

Di certo non può essere il rischio o la certezza di una carenza momentanea di personale a giustificare eventuali rallentamenti da parte dei datori di lavoro, pubblici e privati (così come per gli Ordini per la sospensione dei liberi professionisti), visto che già il Piemonte su questa strada si è incamminato in ritardo rispetto a molte altre regioni e il terreno da recuperare, come dimostrano i numeri, è molto. 

Se non ci sarà una forte accelerazione nei provvedimenti, potrebbero aver ragione quei sanitari no vax che hanno scommesso proprio sui tempi lunghi per arrivare ancora al loro posto al 31 dicembre data di scadenza della norma, anche se con molta probabilità sarà reiterata. A questo quadro che certo non è del tutto rassicurante si aggiungono altri numeri potenzialmente destinati ad aggravare la situazione dei contagi e dei ricoveri nei prossime mesi. All’inizio di luglio la Regione aveva affidato ai medici di famiglia il compito di convincere i loro assistiti over 60 non ancora immunizzati a vaccinarsi. Un compito remunerato in base al risultato raggiunto entro il 15 settembre, data che si presumeva potesse segnare il raggiungimento. Invece, dei circa 220mila ultrasessantenni che oltre due mesi fa mancavano all’appello ne sono stati vaccinati fino ad oggi solo 50mila.

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