GIUSTIZIA

Tragedia di piazza San Carlo, il pm chiede altre 9 condanne

Dopo i 18 mesi inflitti alla sindaca Appendino la procura invoca pene pensanti per dirigenti e funzionari di Comune, Questura, Vigili urbani e del fuoco. "Rotelle di un ingranaggio cooperativo", sostiene il magistrato che punta il dito sulle responsabilità di Palazzo civico

Nove condanne a pene tra i 2 anni e 3 mesi e un anno e 4 mesi, sono state chieste dal pm Vincenzo Pacileo al processo, ripreso in Corte d’assise, per i fatti di piazza San Carlo del 3 giugno 2017, quando, durante la proiezione su maxischermo della finale Champions Juventus-Real, ondate di panico tra la folla provocarono oltre 1.500 feriti e, in seguito, la morte di 2 donne, Erika Pioletti, deceduta pochi giorni dopo in ospedale e Marisa Amato, rimasta tetraplegica e morta un anno e mezzo dopo. Tra gli imputati di disastro e omicidio colposo figurano funzionari del Comune e della Questura, oltre al viceprefetto Roberto Dosio, per il quale la richiesta è un anno e 10 mesi. Secondo il pm ci furono lacune nell'organizzazione e nella gestione dell’evento. 

Il pm ha proposto 2 anni e 3 mesi per Michele Mollo (dirigente della Questura), poi un anno e dieci mesi per Paolo Lubbia (dirigente del Comune), Marco Sgarbi (dirigente della polizia municipale), Alberto Bonzano (dirigente della Questura), Dario Longhin (funzionario dei vigili del fuoco), Franco Negroni e Pasquale Piro (componenti della commissione provinciale di vigilanza) e un anno e quattro mesi per Chiara Bobbio, funzionaria comunale. Tutti, secondo il magistrato, hanno avuto una parte di responsabilità come “rotelle di un ingranaggio cooperativo”. Fu una monumentale catena di “comportamenti riduttivi, incongrui, non conformi alle regole” a costituire la cornice della tragedia, nella quale va ricordato agì una piccola banda di rapinatori provvisti di spray al peperoncino – già presi e processati in appello – in quella serata quando fra i 40 mila tifosi ammassati sotto l’unico maxischermo della piazza si sparse la voce che qualcuno aveva sparato, o che forse c'era una bomba, e tutti presero a urlare, a correre all’impazzata, a calpestarsi l’un l’altro. Questo è un processo storico per la città”, ha spiegato in aula l’avvocato Nicola Menardo, legale di parte civile per la famiglia di Marisa Amato.

Pacileo, nell’esaminare le posizioni di alcuni imputati, ha anche richiamato i principi giurisprudenziali contenuti nelle sentenze sull’incendio del Cinema Statuto del 13 febbraio 1983, costato la vita a 64 persone. Quanto all’evento di piazza San Carlo, ha osservato che era stato fatto tutto troppo in fretta (“è il peccato originale”, ha detto il pm, osservando che “il vero organizzatore fu il Comune con i suoi vertici politici”). Era stata fatta arrivare troppa gente, e la piazza era stata blindata, in virtù di un complesso dispositivo finalizzato a impedire attacchi terroristici dall’esterno, da una quantità di transenne che intrappolarono chi tentava di scappare. “Quello che si doveva prevedere – ha spiegato Pacileo – non era l'evento specifico, non era lo spray. Era da prevedere il contesto in cui, nel caso di un’emergenza qualsiasi, si fosse scatenato il panico. Lo stesso allestimento, la stessa piazza strapiena e transennata, era di per sé una fonte di pericolo”. Eppure, a quanto pare, “nessuno si pose il problema di ciò che andava fatto, verificato, controllato”. La sindaca Chiara Appendino è già stata condannata in primo grado con rito abbreviato a diciotto mesi.

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