QUESTIONE PERSONALE

Addio smart working in Regione, dal 15 ottobre tutti in ufficio

Tra due settimane finirà il lavoro da remoto. Si prepara il ritorno degli oltre 3mila dipendenti. Oggi incontro con i sindacati. Spinte per mantenere alcune attività a distanza. L'assessore Gabusi in sintonia con Brtunetta: "La pubblica amministrazione non è ancora pronta"

Due settimane ancora e poi tutti di nuovo in ufficio. Lo smart working come componente della fase emergenziale cesserà di esistere il prossimo 15 ottobre, come deciso dal Governo. Ma sarà davvero semplice e indenne da intoppi e resistenze come sostiene il ministro Renato Brunetta? E le ipotesi di far tesoro dell’esperienza durata parecchi mesi, le richieste di non lasciarsi alle spalle il modello del lavoro a casa, che fine faranno? Cosa succederà, per esempio, agli oltre tremila dipendenti regionali attualmente, pur con diverse modalità, tuttora in smart working? 

“Il decreto lascia poco spazio alla fantasia e alle interpretazioni, si torna in presenza”, risponde l’assessore al Personale Marco Gabusi che nella sua veste di coordinatore della commissione Affari istituzionali e generali della Conferenza delle Regioni terrà le fila della discussione sul testo. È sulla linea del ministro, nonché suo compagno di partito, l’azzurro Gabusi. Brunetta nei giorni scorsi ha spiegato che lo smart working sperimentato sinora nella pubblica amministrazione è stato utile nell’emergenza, ma non è stato un vero lavoro agile che potrà realizzarsi solo quando le amministrazioni avranno predisposto una piattaforma informatica che garantisca la sicurezza dei dati di chi lavora da remoto e in grado di migliorare i servizi.

L’assessore da par suo frena facili entusiasmi ed azzardate corse in avanti. “Fino a prima dell’emergenza Covid c’era una percentuale minima di telelavoro e adesso ci sarà una percentuale altrettanto minima di smart working. Questa è l’indicazione della nostra amministrazione”, spiega Gabusi che conferma l’intenzione di riportare tutti o quasi al lavoro in presenza. Lo ribadirà anche oggi nell’incontro che avrà con le rappresentanze sindacali dove l’oggetto principale della discussione sarà proprio la disposzione del ministro Brunetta e la sua applicazione. 

La Regione ha una peculiarità che la differenzia rispetto ad altri enti, ovvero l’assenza di sporteli con il pubblico, che incide non poco nella valutazione dell’efficacia e dei possibili problemi legati a questa forma di lavoro. Tuttavia, anche con questa diversità, la strada verso un allargamento dello smart working, non più come misura emergenziale bensì strutturale in un nuovo sistema di lavoro, sembra essere ancora in salita. A fronte di richieste che certo non mancano per mantenere il lavoro a distanza in percentuali maggiori rispetto a quelle prospettate dall’assessore, la Regione è intenzionata a non allargare le maglie. “Pur non avendo attività di sportello con il pubblico, riteniamo che si debba tornare all’attività in presenza e poco o nulla valgono le valutazioni che si possono fare sul periodo in cui i dipendenti hanno lavorato e, pur solo per alcuni giorni alla settimana, stanno ancora lavorando da casa”, premette Gabusi. “Come si può sostenere che l’attività da remoto ha funzionato quando, eccetto per la sanità e per le pratiche della cassa integrazione, di fatto l’attività degli uffici si è fermata o comunque è rallentata moltissimo?”.

Un test inattendibile quello cui fanno riferimento coloro che spingono per mantenere il sistema cui si è stati costretti per evitare o limitare quanto più possibile le occasioni di contagio. “La scorsa primavera avevo detto che se la situazione sanitaria lo avesse consentito, a ottobre saremmo tornati al lavoro in presenza, adesso a prevederlo non è l’assessore ma un decreto del Governo”. E sul futuro, almeno quello prossimo, Gabusi è chiaro: “Il sistema pubblico non è ancora pronto per lo smart working”.

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