EMERGENZA SANITARIA

Disturbi alimentari nei giovani:
30% in più con Dad e lockdown

Tra gli effetti della pandemia anche l'aumento dei casi di anoressia e bulimia. Il Piemonte in ritardo di 4 anni sulle linee guida ministeriali. Parte la rete regionale con ambulatori in ogni Asl, comunità terapeutiche e il codice lilla nei Pronto Soccorso

Sono oltre 20mila i piemontesi, soprattutto giovani e giovanissimi, costretti a combattere contro l’anoressia, più del doppio quelli affetti da bulimia. Ogni anno non meno di 400 ragazzi vengono colpiti da queste forme di disturbo alimentare e il 30% deve ricorrere a cure ospedaliere, con la necessità di più di un ricovero nel 40% dei casi. Eppure, nonostante alcune eccezioni, il sistema sanitario regionale è in notevole ritardo rispetto alle linee di indirizzo stilate dal ministero che risalgono al 2017 con una revisione nel 2020.

Quattro anni di ritardo da recuperare e una rete capillare su tutto il territorio regionale da costruire. Una necessità ancor più improrogabile di fronte alle conseguenze che la pandemia con le restrizioni e le modifiche dello stile di vita imposte – dai lockdown alla didattica a distanza, solo per citarne un paio – ha prodotto, tanto da vedere aumentati di circa il 30% i casi di queste patologie di cui l’anoressia e la bulimia sono solo le più note. Da qui la decisione di mettere ordine in un settore, troppo spesso trascurato e lasciato a singole iniziative alcune delle quali a livello di eccellenza, ma non sufficientemente esteso a coprire capillarmente e con omogeneità di interventi e di risposte le necessità dell’intera regione.

Oggi è previsto l’approdo in giunta di una delibera, integrando e parzialmente revocando un analogo atto che risale a otto anni fa, fissa nuove regole, indica percorsi sanitari e prevede strutture territoriali per la prevenzione e la cura dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. 

Tra i fini di questa riforma c’è, innanzitutto, proprio la costituzione di una rete - a grandi linee sul modello di quella per l’oncologia che da anni è uno dei fiori all’occhiello della sanità piemontese – con la definizione dei vari livelli di presa in carico dei pazienti: da un centro esperto regionale con sede nella Città della Salute di Torino nella struttura di eccellenza diretta dal professor Giovanni Abbate Daga che avrà la funzione di coordinamento. Poi l’inserimento nella rete dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, ambulatori di primo livello in ogni Asl, di secondo livello per ogni quadrante, il codice lilla (per la valutazione e il trattamento del paziente) in ogni Pronto Soccorso e, non da ultimo, le comunità terapeutiche che nell’intenzione della Regione non dovranno coincidere, come avviene oggi, con quelle dedicate ai pazienti psichiatrici. 

Una risposta quella che si attende dalla nuova rete, non certo marginale nella sua importanza e confermata dalla notevole mobilità passiva per queste patologie. Nel 2019 il ricorso a strutture residenziali di altre regioni (soprattutto Lombardia, Liguria, Valle d’Aosta e Veneto) ha contato 2.400 giornate di assistenza per un importo (pagato dal Piemonte alla sanità delle altre Regioni) di circa mezzo milione di euro. I dati più recenti indicano come scenda sempre di più l’età dei pazienti, spesso con quadri clinici complessi. Gli stessi dati, purtroppo, attestano che ancora troppo spesso una parte dei pazienti non riceve diagnosi e trattamenti adeguati con un ricorso alla sanità tempo dopo l’emergere della malattia. Ecco perché tra le linee contenute nella delibera proposta dall’assessore Luigi Icardi e indirizzata alle Asl che dovranno tradurle in pratica, c’è anche una parte dedicata alla formazione del personale sanitario, in particolare quello dei Pronto Soccorso e dei medici di famiglia. 

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