Sindacalisti in talare

A ognuno il suo mestiere. E soprattutto provare a farlo bene senza spacciare per novità la normalità. Seguire queste due semplici regole sarebbe sintomo di professionalità e serietà. Oggi, invece, visto che sembra in crisi la vocazione a fare il Ct della nazionale di calcio, è diffusa la pratica del volere fare il sindacalista. A parole ovviamente e invadendo un campo difficile e complesso. Sovente basta una parola, una promessa, un impegno non realizzabile per rovinare i rapporti con i lavoratori. Vivendo in tempi di demagogia, populismo e social il fenomeno è diffusissimo, con risultati devastanti. C’è chi usa il populismo in politica perché non sa fare il suo mestiere e butta sempre la palla oltre la rete, non sapendo che anche lì c’è un giocatore che la rilancia indietro, oppure enfatizza impegni che sono invece la normalità del suo ruolo istituzionale.

Una volta nella Chiesa torinese, grazie al Cardinale Michele Pellegrino, si visse la stagione felice, per la Chiesa e i lavoratori, dei Preti Operai (sì, con la maiuscola). Per loro fu anche faticosa, oltreché felice, perché constava del doppio lavoro: in fabbrica e in Chiesa ma con un solo obiettivo: predicare il Vangelo, stando dalla parte degli ultimi. Ai tempi era la classe operaia. Molti, tanti portarono anche una ventata di “aria fresca” nel sindacato, quasi tutti in Cisl, tanti tra i metalmeccanici della Fim. Preti Operai nonché delegati sindacali e evangelizzatori, senza etichette ma con l’esempio.

Oggi, dopo che la gerarchia ha pensato bene negli anni di chiudere quell’esperienza, abbiamo prelati che diventano sindacalisti. Qualcuno gli ha fatto, almeno, il cosiddetto “corso di primo accostamento”? Certamente tutti vogliono fare il bene dei lavoratori e delle lavoratrici ma quanto danno puoi fare se non conosci a fondo la materia? Se sei mal consigliato, se agisci d’istinto. La fede, religiosa o politica, non può prevalere sul raziocinio del lavoro sindacale. Già i sindacalisti possono sbagliare da soli, anch’essi per scelte politiche dell’organizzazione sindacale di appartenenza, per convenienza, per fare due iscritti in più figuriamoci se figure autorevoli (come ruolo) danno l’imbeccata sbagliata.

Quanto danno si può produrre da una azione a fin di bene ma sbagliata? Incalcolabili. Si possono creare illusioni, incentivare scelte sbagliate delle persone che sono poi famiglie con figli e che devono già affrontare il problema della perdita del posto di lavoro. Ecco, allora a volte tacere o riflettere prima di parlare o consultarsi è la migliore buona azione che ogni aspirante sindacalista deve fare. Ho sempre detto ai militanti fimmini di non dare mai risposte affrettate ma che è sempre meglio quando non si sa o si ha un dubbio dire: mi informo e ti faccio sapere.

A tutti coloro i quali hanno un ruolo pubblico e hanno intenzione di cambiare mestiere e diventare sindacalisti chiedo, per il bene della classe operaia, di seguire la nostra prima regola che è uguale a quella del giocatore di scacchi: prima di fare una mossa devo avere ben chiaro tutte le conseguenze, sino allo scacco matto, che si verificheranno sulla scacchiera.

print_icon