POLITICA & GIUSTIZIA

Rimborsopoli, otto anni di processi.
Cota: "E avevo chiesto l'immediato"

Sentenze ribaltate nei vari gradi di giudizio, ricorsi "selettivi" da parte della Procura, stesse spese considerate "pazze" per alcuni e lecite per altri. E ora si torna in Cassazione. L'ex governatore ripercorre le tappe di un'odissea giudiziaria "assurda"

Quasi otto anni e ancora il processo non si è concluso. Chissà come sarebbe andata se l’imputato non avesse chiesto il rito immediato che come spiega egli stesso “presuppone una rapida celebrazione e definizione del processo stesso”. L’imputato si chiama Roberto Cota, di professione avvocato e all’epoca dei fatti, per i quali pochi giorni fa è stato condannato in appello a un anno e sette mesi, era presidente della Regione Piemonte, esponente di spicco della Lega, partito abbandonato da un po’ di tempo per passare nelle fila di Forza Italia. In primo grado era stato assolto, poi la Corte di Cassazione aveva stabilito la celebrazione di un ulteriore processo in secondo grado dopo che la Procura aveva presentato appello. Una decisione assunta, dalla pubblica accusa, per Cota ma non per altri imputati per fatti analoghi – il contestato utilizzo dei fondi dei gruppi del Consiglio regionale – incidentalmente di diverso colore politico.

Dica la verità, Cota, anche a lei sembra un’assurdità, per non dire una beffa, un processo con rito immediato che dura otto anni e ancora non è finito, visto che lei ricorrerà in Cassazione? 
“Altro che assurdità. Ho chiesto il rito immediato, richiesta che raramente viene fatta dall’imputato, rinunciando all’udienza preliminare per essere appunto processato immediatamente”.

Un avverbio molto elastico, visto com’è andata. 
“Beh, il dibattimento, pubblico, è durato due anni, quarantasei udienze. Sono stati sentiti i testimoni indicati dall’ accusa e dalla difesa”.

E alla fine..
“Sono stato assolto da un Tribunale composto da tre giudici perché il fatto non sussiste. Il processo aveva ed ha ad oggetto semplicemente la valutazione di alcune spese che la pubblica accusa aveva ritenuto irregolari. Un giudizio pubblico durato due anni sarebbe dovuto bastare”.

Invece?
“Invece no, la persecuzione è continuata”.

Lo dice convinto che tale sia stata?
“E come la vogliamo chiamare? Ritengo che nei miei confronti, così come per tutti gli altri consiglieri già assolti in primo grado, vi sia stato un vero e proprio accanimento. L’incongruenza che noto è data dal fatto che non ci sono state impugnazioni delle assoluzioni per gli imputati si sinistra processati con rito abbreviato, come noto un procedimento più superficiale. Per loro c’era stata l’imputazione coatta”.

Questo a fronte di presunti reati di fatto analoghi a quelli che le vengono attribuiti, è così?
“Assolutamente sì. Io sono pronto a confrontare le spese contestate. Le mie e quelle di coloro per i quali non è stata impugnata la sentenza di assoluzione. C’è chi ha pagato viaggi in Israele a cavallo di ferragosto per un collaboratore dell’allora assessore Eleonora Artesio, un altro in Tunisia di un collaboratore della consigliera Monica Cerutti. E allora mi chiedo: è possibile che per questi ci sia la valutazione di buona fede e, invece, io debba essere trattato in maniera diversa?”.

Lei è finito su tutti i giornali per le mutande verdi che, sostiene, non sono mai esistite. Vuole spiegare come nasce questa storia.
“Vado a Boston, da solo e a spese mie, a fare un corso di inglese specifico per la mia attività di governatore. Arrivo tre giorni prima per visitare il Mit accompagnato dall’ingegnere Roberto Dolci, missione organizzata dal gruppo consiliare della Lega. Tra gli scontrini della cena offerta al mio accompagnatore e ai suoi famigliari finisce anche quello dell’acquisto, nello stesso complesso commerciale, di un paio di pantaloncini. Viene scambiato per uno scontrino di ristorazione da me, quando l’ho consegnato alla segretaria, un errore nel quale sarebbe caduto anche lo stesso pm in sede di interrogatorio della segretaria”.

Lei quell’importo lo ha rifuso alla Regione, giusto?
“Non solo quello. In totale ho rifuso più di 35mila euro. Diciamo che la Regione non solo non ci ha rimesso nulla, ma ci ha pure guadagnato”.

Però le mutande sono diventate il simbolo di Rimborsopoli e un cappio al suo collo. 
“Qualcuno ha divulgato degli atti che in senso stretto non potevano essere divulgati. La Procura della Repubblica cosa ha fatto? Niente. Tutti gli atti avevano segnato il nome dei legale che li avevano richiesti, ma la Procura non ha fatto alcuna indagine per scoprire chi li aveva divulgati illegalmente. Sono stato attaccato in mondo allucinante e ho dovuto scegliere il rito immediato, ho avuto un processo durato due anni dal quale sono stato assolto. E tutto non è stato ritenuto ancora sufficiente”.

Adesso cosa farà?
“Naturalmente ricorrerò in Cassazione. Ma credo sia giusto anche rendere pubbliche tutte le spese che riguardano le posizioni che sono state archiviate o in relazione alle quali la sentenza di assoluzione non è stata impugnata. Cercherò di farlo utilizzando tutti i documenti che sono in mio possesso, soprattutto in relazione ad alcune posizioni particolarmente significative”.

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