POLITICA & GIUSTIZIA

"Nessuna parzialità né accanimento", su Burzi la magistratura si assolve

Dura presa di posizione del procuratore generale Saluzzo che difende l'operato dei giudici nel processo in cui è stato condannato l'ex assessore regionale tragicamente scomparso. E avverte sui rischi di incorrere nel "reato di vilipendio dell'ordine giudiziario". Perbacco

«Ho letto la tristissima notizia della morte dell'ingegner Angelo Burzi, evento di fronte al quale esprimo tristezza e umana condivisione dei sentimenti di dolore di chi gli era vicino. Seppur con il necessario garbo, debbo, però, intervenire sulle inaccettabili affermazioni di alcuni esponenti politici (anche passati) che hanno ritenuto di utilizzare la morte di un uomo per accuse del tutto false e contraddette dai fatti». È l’incipit di una lunga nota del procuratore generale di Torino, Francesco Saluzzo, che replica alle  affermazioni secondo cui l’ex assessore e consigliere regionale sarebbe stato vittima di accanimento giudiziario. «I magistrati non hanno nemici (neppure amici) e per quanto riguarda le Procure del mio distretto (e quella di Torino, in primo luogo) e la Procura generale, l’affermazione, oltre che destabilizzante e irricevibile, è ampiamente contraddetta dal fatto che indagini e processi (e non è necessario fare riferimento ai singoli procedimenti) hanno riguardato, negli anni, esponenti politici di differenti versanti. Perché l’azione di questi Uffici è rigorosamente ancorata ai principi ed alle garanzie costituzionali, alla imparzialità ed alla assoluta indipendenza».

Entrando nel merito delle contestazioni, Saluzzo spiega, punto per punto, perché sono ritenute inaccettabili. «La prima – sottolinea – riguarda una pretesa parzialità nell’azione della Procura della Repubblica di Torino, prima, e della Procura Generale presso la Corte di Appello di Torino (l’Ufficio che io rappresento), dopo; che avrebbero trattato situazioni analoghe o identiche in modo differente; par di capire a seconda del diverso colore politico. Tesi che ha spinto alcuni degli intervistati a parlare di processo politico e di accanimento giudiziario (se ho compreso, a senso unico), per giungere all’affermazione di un esponente politico, secondo il quale “...c'è gente (evidentemente pubblici ministeri e giudici) che l’amministra (la giustizia) solo per combattere nemici”. Nulla di più lontano dal vero. I due Uffici requirenti, che hanno agito in una solida e convinta condivisione della impostazione, hanno valutato episodio per episodio, spesa per spesa e tutte le volte nelle quali è stato individuato un legame con un’attività o una finalità politica, anche blanda, vi è stata richiesta di archiviazione o non si è proceduto alla contestazione”. “Nei casi nei quali quella finalità, quella caratterizzazione non è stata provata vi è stato processo e, nella più parte dei casi, condanna. E, infatti, le affermazioni di responsabilità si sono avute per i casi di spese con scopi assolutamente privati (talvolta con carattere quasi macchiettistico), o di beneficio anche per terze persone, del tutto estranee all’attività ed all’azione politica dei singoli imputati. Così è stato per tutte, e sottolineo tutte, le persone portate al giudizio del Tribunale, poi della Corte di Appello e, nuovamente di questa, dopo la decisione della Corte di cassazione» prosegue Saluzzo. E ancora: “Il criterio utilizzato, frutto di una scelta attenta, di garanzia e aderente alla lettera della legge penale è stato unico per tutti e per tutte le operazioni che sono state analizzate. Per nessuno è stato utilizzato un parametro differente. Poi, certo, deve anche essere accettata la voce e la mano pesante della legge (di quelle leggi scritte dalle stesse persone che oggi additano “lo scandalo”) quando le regole vengono violate. Sicché userei maggiore prudenza nel fare e veicolare affermazioni che gettano discredito e potrebbero costituire anche vilipendio dell'ordine giudiziario».

“Il secondo punto – continua il pg di Torino – riguarda la posizione dell’ingegnere Burzi; si è tentato, con alcune delle interviste, di accreditare l’idea di una persecuzione giudiziaria nei suoi confronti e di una coerenza delle sue spese e di quelle che lui aveva autorizzato come capogruppo del suo movimento politico con le previsioni che vogliono rimborsabili le spese per la politica. Non è così: l’ingegner Burzi (che non ha mai subito perquisizioni, a differenza di quanto si legge) aveva patteggiato una pena di oltre un anno di reclusione per una serie di ipotesi che, evidentemente, non riteneva di poter contestare, pur rivendicando, in più occasioni, la correttezza complessiva del suo operato: spese che riguardavano sia alcune sue proprie sia spese autorizzate a beneficio di altri consiglieri del suo gruppo politico. Spese, soprattutto queste ultime, assolutamente non giustificabili e non riferibili a quel parametro del quale sopra ho scritto. La recente condanna della Corte di appello di Torino, non è intervenuta su quella precedente applicazione di pena (c.d. patteggiamento) che era divenuta definitiva il 23.1.2020, ma, sulla base di quanto aveva disposto la Corte di Cassazione, ha rivalutato quattro ipotesi di reato, e per esse vi è stata condanna, ed ha provveduto ad un ricalcolo della pena ed alla applicazione di un aumento per effetto della continuazione con quattro e diverse ipotesi di reato contestate. È poi gravissimo coinvolgere i giudici nell’accusa di parzialità, come se le prospettazioni di un’accusa parziale nella sua azione trovassero facilmente la condivisione di numerosi Collegi giudicanti e della stessa Corte di Cassazione che ha confermato la maggior parte delle decisioni di condanna e, per alcuni, ha rinviato al giudice di Appello per la rideterminazione della pena o per altre questioni tecniche”. “Debbo anche osservare come gli esponenti politici coinvolti non abbiano neppure mostrato di voler prendere atto della irregolarità (chiamiamola così) delle loro condotte, frutto di anni di prassi illegali, per operare una svolta all’interno del processo. Anzi, hanno orgogliosamente rivendicato la correttezza del loro operato, anche quando la realtà dei fatti denunciava un uso di risorse pubbliche per fini personali, anche di basso e assai discutibile profilo. Va ristabilita la verità e l’obiettività delle vicende e delle dinamiche. E nelle dinamiche processuali vi è anche la diversa valutazione del giudice (soprattutto di appello) che non deve essere apprezzato ed applaudito solo quando assolve o riduce le pene», conclude Saluzzo.

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