Profitti extra dello Stato

Ogni tanto, quando bisogna trovare una sorta di capro espiatorio che funga anche da mucca da mungere per un qualche problema economico, spunta fuori il termine extraprofitti, la cui definizione è piuttosto fumosa. Sui manuali di economia gli extraprofitti vengono definiti come quelli superiori al normale rispetto ad un mercato perfettamente concorrenziale. Una definizione teorica che difficilmente si ritrova nella realtà dove un mercato perfettamente concorrenziale non esiste perché l’uomo è tutto, fuorché che perfetto.

Risultano un po’ difficili da definire questi profitti superiori al normale. Si dovrebbe trattare di una situazione temporanea in cui per qualche motivo una azienda si trova ad avere un guadagno maggiore. Anche così una definizione piuttosto generica. In un mercato concorrenziale quando si verifica il caso di profitti importanti normalmente si affacciano sul mercato altre aziende che con il tempo fanno livellare i guadagni verso un punto di equilibrio più basso. È successo varie volte che il boom in un certo mercato abbia spinto molti ad entrarci per poi causare un crollo ed infine un assestamento. Quindi i cosiddetti extraprofitti, per quanto abbiano una definizione imprecisa, rappresentano nella migliore delle ipotesi una situazione temporanea. Nel caso attuale del rialzo delle materie prime si tratta di una situazione contingente che prima o poi sarà risolta. Per esempio per il gas si potranno riattivare i pozzi italiani o per il grano si metteranno a coltura terreni ora incolti. Con il tempo gli extraprofitti spariscono.

In Italia parlare di extraprofitti nel campo energetico ha un sapore un po’ surreale. Se si butta un occhio alla borsa di Milano si nota che fra le aziende più grandi ci sono Eni ed Enel che casualmente si occupano di energia e ancora più casualmente sono controllate dallo stato italiano. Se si guarda più specificatamente al settore del gas troviamo Snam ed Italgas sempre controllate dallo stato. Poi se nel calderone ci mettiamo le municipalizzate come Iren, Acea, A2a, Hera, ecc. possiamo notare come uno dei principali attori che si sta avvantaggiando degli extraprofitti è proprio l’amministrazione pubblica sia centrale che locale.

La tassazione degli extraprofitti dovrebbe essere temporanea perché legata a fatti contingenti destinati a sparire. Il problema ulteriore di ogni incremento fiscale sulle aziende è quanto questo venga scaricato sui consumatori finali. Bene ha fatto il governo a tagliare le accise sui carburanti e credo che sarebbe stato sufficiente ciò, senza aumentare la tassazione su un qualcosa che è di difficile quantificazione e che potrebbe ricadere sulle spalle dei consumatori. Più che sulla tassazione si dovrebbe intervenire sulla rimozione degli ostacoli legali e burocratici per poter riaprire i pozzi del gas ed autorizzare nuove trivellazioni. L’Italia ha una elevata competenza nello stoccaggio di gas nel sottosuolo nei vecchi giacimenti esauriti, che potrebbe essere sfruttata per aumentare gli stoccaggi per il prossimo inverno e per offrire tali competenze agli altri stati europei in modo da creare una stock di gas d’emergenza a livello europeo. L’Italia ha le sue scorte per quanto di fronte a questa crisi bisognerà valutare di incrementarle, ma altri paesi non ne hanno affatto. Attualmente esistono ancora delle centrali elettriche a carbone e sarebbe utile pensare di non dismetterle e tenerle come capacità di scorta in caso di emergenza.

La tassazione degli extraprofitti delle aziende energetiche appare un modo per finanziare la riduzione delle accise affinché lo Stato non diminuisca le proprie entrate, più che aiutare i cittadini italiani. Da una mano si dà, dall’altra si prende.

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