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Sanità, sulla prevenzione Piemonte in grave ritardo

Un sistema inadeguato, con poco personale e senza supporti informatici. Siliquini: "I Sisp hanno fatto le nozze coi fichi secchi". Il grosso divario rispetto a Veneto ed Emilia-Romagna. L'appello degli igienisti a Governo e Regioni: rafforzare i dipartimenti

“I Sisp hanno dovuto fare le nozze coi fichi secchi”. Due anni da quei giorni d’inizio 2020 in cui il Covid stravolse tutto, introducendo anche un vocabolario della pandemia da cui ben presto emerse con i tratti dell’inadeguatezza e della confusione l’acronimo che indica i servizi di igiene e sanità pubblica, è meno complicato guardare con il necessario distacco e senza indulgenze a quel che non ha funzionato come avrebbe dovuto e su questo tradurre in fretta e in pratica annunci e promesse.

Non sarebbe passato giorno, per mesi e mesi, senza che quel ganglio cruciale della medicina di prevenzione, caricato di crescenti competenze e incombenze, finisse sul banco degli imputati. Ritardi nei tamponi, esiti dei test di cui si perdeva traccia, mail scomparse a migliaia, e poi col passare delle ondate una via l’altra, persone “dimenticate” in quarantena, estenuanti attese per uscire dall’isolamento e altri innumerevoli conferme di un problema le cui origini vanno ricercate anni prima dell’arrivo del Covid.

“Per molto tempo i dipartimenti di prevenzione, in cui sono inseriti i Sisp, sono stati veramente poco considerati. Non si sono fatti concorsi per le assunzioni, il personale andava scarseggiando e invecchiando, sistemi informatici inadeguati, poi è arrivato il Covid e ci si è accorti dell’importanza della medicina di prevenzione”, ricorda con evidente amarezza Roberta Siliquini, ordinario di Igiene all’Università di Torino, già presidente del Consiglio Superiore di Sanità e attuale componente della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica. Proprio da quest’ultima organizzazione scientifica, nelle scorse ore, è partito un forte appello al Governo e alle Regioni perché nel nuovo decreto ministeriale 71 si inseriscano misure per rafforzare i dipartimenti di prevenzione.

La lezione imparata a caro prezzo negli oltre due anni di emergenza sanitaria, deve però essere ancora tradotta in pratica. Non è facile, “i bandi per le assunzioni si stanno facendo, ma vanno in gran parte deserti perché di igienisti se ne sono formati davvero pochi negli ultimi due anni – spiega Siliquini –. In Piemonte fino a due anni fa si specializzava non più di una decina di medici, oggi dal Covid in poi la cifra si è più che quadruplicata. E sono stati proprio i nostri specializzandi ad aver tenuto in piedi per questi due anni i Sisp, servizi che tutti abbiamo conosciuto nella pandemia, ma che ha ruoli fondamentali al di là dell’emergenza Covid. Purtroppo di questo ruolo fondamentale per la medicina del territorio e per mettere a sistema tutte le attività di screening e di prevenzione, di vaccinazione e di medicina scolastica, ci si è resi conto con ritardo e quando è arrivata la pandemia”.

Su questo fronte il Piemonte non ha certo brillato in un Paese “dove già i Lea, i livelli essenziali di assistenza prevedono il 5% del fondo nazionale sanitario per la prevenzione a fronte di tutte le altre nazioni europee che destinano dal 10 al 15 per cento”. Un Piemonte che resta lontano da altre regioni come il Veneto, l’Emilia-Romagna che “indiscutibilmente sono più avanti, hanno più personale, migliore organizzazione e vedono questo settore della medicina più considerato dalla politica sanitaria”, osserva la professoressa Siliquini. 

“Non possiamo tacere sul fatto che all’inizio dell’emergenza Covid si navigasse praticamente a vista, i dati venivano inseriti a mano. Questo settore ha bisogno di flussi informativi, di piattaforme che ci consentano di avere dati in tempo reale”. Ma quanto sta realmente cambiando rispetto non solo a due anni fa, ma anche a periodi più vicini segnati da notevoli difficoltà per un settore della sanità che deve recuperare molti anni di ritardo? “Credo che dal punto di vista politico ci si sia resi conto dell’importanza della prevenzione”, risponde Siliquini. “Certo, c’è da fare un grande lavoro di revisione dei modelli organizzativi che spetta alla direzione regionale della sanità, per poi essere attuata su precise linee di indirizzo dalle Asl”. 

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