Chi seleziona la classe dirigente?

Il tema della selezione della classe dirigente è antico ma continua ad essere senza una soluzione. Almeno così appare nella stagione politica contemporanea. Ma questo tema ritorna centrale e decisivo soprattutto oggi, cioè dopo la sbornia populista, demagogica e anti politica che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi anni. Una stagione che ha ridicolizzato la politica, azzerato le culture politiche, rasato al suolo i partiti organizzati e radicati nei territori e, soprattutto, annullato la qualità e l’autorevolezza della classe dirigente politica. Uno tsunami che ha un nome e un cognome politico e culturale: l’avvento del grillismo. Una fase che ha sconvolto i precedenti equilibri politici annunciando svolte epocali e promesse mirabolanti. Come è finita questa “rivoluzione” è sotto gli occhi di tutti. Almeno di quelli che vogliono vedere. E cioè, un sistematico e scientifico rinnegamento di tutto ciò che è stato promesso, urlato, sbraitato in tutte le piazze italiane in questi ultimi anni.

Nel frattempo, però, il capitolo della selezione della classe dirigente si è ulteriormente aggravato. Certo, l’ideologia “dell’uno vale uno” ha squalificato del tutto quello che nel passato, checchè se ne dica, era uno dei pilastri decisivi della politica italiana. Salvo eccezioni, come ovvio. E cioè, la qualità, appunto, della classe dirigente. Una classe dirigente apprezzata a livello nazionale e riconosciuta a livello internazionale che faceva del nostro paese un tassello importante ed ascoltato nello scacchiere politico europeo e mondiale. Ora, com’è evidente a tutti, il panorama è radicalmente cambiato ed è persin inutile tracciare confronti o continuare a vivere nell’illusione che il passato possa ritornare seppur con forme e modalità diverse ma con quella passione, intelligenza, competenza e autorevolezza che ha contraddistinto per molti decenni la nostra classe dirigente. Tuttavia, alla vigilia di un grande appuntamento politico ed elettorale - e cioè il rinnovamento del Parlamento italiano - il tema della futura classe dirigente non può non essere posto in cima all’agenda politica del nostro paese. E questo per evitare di ricorrere ai “tecnocrati” di turno da un lato, com’è capitato in questi ultimi mesi dopo il fallimento dei populisti al governo, o di appaltare ai soliti “esperti” il governo del nostro paese dall’altro. La politica, detta in altri termini, ritorna protagonista solo se ci sarà una classe dirigente all’altezza della situazione. Certo, molto, se non tutto, dipende anche dalla futura legge elettorale. Se, cioè, resta un sistema elettorale dove al cittadino/elettore resta solo il compito di ratificare decisioni assunte in altra sede, è pressoché impossibile contribuire a riqualificare la classe dirigente politica nel nostro paese. E questo è persin troppo semplice da richiamare. Ovvero, quello che conta nei partiti personali, padronali e nei cartelli elettorali è solo e soltanto la “fedeltà” cieca ed assoluta nei confronti del capo o del guru di turno. Com’è puntualmente capitato in questi ultimi anni. Al di là della sceneggiata, ormai sempre più grottesca, delle primarie o delle “parlamentarie” del Partito democratico e della sinistra. Perché la vera scommessa, è inutile girarci attorno, è capire se i capi partito - di tutti i partiti, a cominciare da quelli più consistenti - ritengono sia giunto il momento per riqualificare la classe dirigente rinunciando alla “fedeltà” per premiare la competenza e l’autorevolezza o se, al contrario, continuano a credere in modelli elettorali che impediscono al cittadino di scegliersi la propria classe dirigente.

Si tratta, cioè, di fare una scelta politica. Le parole, nel caso specifico, stanno a zero come si suol dire. Vedremo nei prossimi mesi quale sarà la scelta. Si tratta, come sempre, di una volontà politica da tradurre in atti concreti senza inutili proclami e ridicole promesse. 

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