Salari e inflazione, nessun escamotage

Mi dispiace deludere il professor Pietro Garibaldi ma il salario minimo non batterà mai l’inflazione, al massimo potrà farlo nella teoria di qualche saggio di economia o nell’aula di qualche università ma non nelle tasche e nei conti mensili dei lavoratori.

Si contesta al sindacato di essere contrario al salario minimo ma nessuno, nemmeno il professor Garibaldi, ha dato una definizione precisa del salario minimo. Il sindacato confederale ha più volte detto che in Italia il salario minimo esiste già ed è l’inquadramento economico e professionale previsto dai contratti nazionali. Il vero problema che abbiamo sono i contratti nazionali pirata fatti da organizzazioni sindacali minoritarie che firmano accordi al ribasso per “ingraziarsi” le aziende e acquisire ruolo. Quindi andrebbe normata la rappresentanza e la titolarità dei Contratti Nazionali.

Prevedere un salario minimo, di cui attendo i dettagli e l’applicabilità da parte dei teorici della materia, significa dare la possibilità all’attuale Confindustria di sminuire ulteriormente la Contrattazione Nazionale affidandosi a un salario minimo diffuso e per poi agire sull’erogazione di salario unilaterale gestito dalle aziende e non contrattato tra le parti. Quindi, accusare il sindacato confederale di non volere il salario minimo o dire che anche le aperture fatte da Landini non devono pretendere troppo da un singolo strumento, significa sottovalutare la complessità dello strumento. D’altra parte, se l’idea del professor Garibaldi di salario minimo è: “una media dei contratti esistenti” significa semplificare una materia come quella del salario che ha specificità professionali e merceologiche che serve a rendere competitive le imprese.

L’inflazione si batte tornando a rielaborare l’idea di Tarantelli, questa sì un po’ abbandonata dal sindacato, attraverso la predeterminazione dei punti di inflazione e conseguente erogazione salariale. Purtroppo, con il rientro della Fiom nella firma del contratto nazionale dei metalmeccanici si è accettato che l’erogazione salariale avvenisse a consuntivo e non a preventivo e con 18 mesi di ritardo.

Se bisogna tutelare il salario occorre ribaltare questa impostazione ma Confindustria, con la gestione Bonomi, è troppo ripiegata su sé stessa e non riesce a fare una vera politica sociale. Non pensa al Paese ma solo agli interessi di bottega, dimostrandosi già sorda all’idea di un nuovo Patto Sociale come proposto dalla Cisl.

Bisognerebbe dire che il salario minimo ha una sua applicazione specifica solo per le categorie non tutelate da un Contratto Nazionale, per i lavoratori con contratti atipici che non rientrano in base al loro settore merceologico. Ma quando si generalizza e non si specifica viene il sospetto che l’idea del salario minimo sia un modo per limitare la contrattazione nazionale trasformando i due livelli contrattuali da Contratto Nazionale in salario minimo e “relegando” la maggior parte del salario alla contrattazione aziendale vincolandola alla produttività e redditività.

Il salario minimo trattato in modo così superficiale è un attacco al salario dei lavoratori. È ridurre il loro potere d’acquisto mascherato da un’idea moderna e del “ce lo chiede l’Europa”. Quindi sarà bene che anche il ministro Orlando si chiarisca bene le idee evitando di flirtare con il segretario della Cgil ma parli con tutto il sindacato confederale evitando così anche gli ipocriti appelli all’unità sindacale.

Prima della battaglia sul salario minimo bisognerebbe fare quella sul lavoro nero, sulla precarietà. Non è vero, in parte, che i giovani non hanno voglia di lavorare o che rifiutino lavori nei giorni festivi come nei bar e ristoranti. Ma se oltre farti lavorare nei giorni festivi vogliono sottopagarti o pagarti in nero allora il problema non è se introdurre il salario minimo (ci sarà sempre il nero!) per i lavori non tutelati dalla contrattazione ma rendere funzionanti i controlli attraverso l’incremento degli ispettori del lavoro. Già ma come fa un evasore fiscale a dichiarare di avere dipendenti in regola?

Allora non c’è nessuna fantasia, come dice il professor Garibaldi, nel sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori con il salario minimo; anzi non c’è nemmeno il senso della realtà. Se vogliamo contrastare la perdita del potere d’acquisto salariale dei lavoratori dobbiamo agire su due fronti: il primo riducendo il precariato e le forme di lavoro precario, aumentando il lavoro a tempo indeterminato si aumenta la produttività con beneficio di tutti: imprese e lavoratori. Il secondo intervento programmando nuovamente una politica salariale legata all’andamento dell’inflazione a preventivo e non a consuntivo legandola a una politica del Governo che eserciti una tassazione sugli extraprofitti (quella fatta nell’ultimo decreto è insufficiente) e una forte azione di contrasto all’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità.

Tutto ciò va integrato a una forte politica di investimenti per tornare ad aumentare la nostra indipendenza alimentare e energetica da altri Paesi. Quindi politiche di largo e lungo respiro, altroché salario minimo che impoverirebbe i lavoratori.

print_icon