Molinari fedelissimo del Capitano, ma a prova di golpe dei colonnelli
07:23 Lunedì 06 Giugno 2022Resta un pretoriano di Salvini, tuttavia il capogruppo e segretario regionale mostra segni di irrequietudine. In Piemonte non ci sarà nessuna resa dei conti: "Non abbiamo alternative". Dovrà però impegnarsi a mettere mano alla riorganizzazione del partito
Dalle parti di via Bellerio ma soprattutto nei capannelli di Montecitorio lo descrivono frastornato da quello che sta succedendo e potrebbe ancora accadere. “Persino lui è basito” di fronte allo sconquasso che le mosse maldestre di Matteo Salvini provocano in una Lega in picchiata nei consensi elettorali e nella credibilità politica. E se “lui” è Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera, segretario regionale in Piemonte, cresciuto nel partito insieme a Matteo e di Matteo a lungo braccio destro e oggi uno dei massimi pretoriani, significa che la situazione è piuttosto seria, oltreché grave. La lealtà al Capitano non è in discussione, almeno per il momento; impensabile annoverarlo tra i congiurati che a dar retta a rumors romani sarebbero pronti a pugnalare Salvini, eppure certe dichiarazioni – “Non ne sapevo nulla”, a proposito dell’annunciato viaggio a Mosca del leader panciafichista – e viepiù i silenzi sono segnali di manovre di sganciamento in atto. “Non è Bruto ma nemmeno sarà il martire del salvinismo”, spiega uno dei suoi luogotenenti nella provincia allobroga.
Attingendo alla metafora militare si potrebbe dire che l’aiutante di campo del Capitano, nel caso di un golpe dei colonnelli, non finirebbe neppure agli arresti. Cerchiobottismo? No. Semmai un’accentuazione di quella politica riflessiva e moderata (rispetto al Capo) che ha sempre connotato il deputato alessandrino, non nuovo a prese di posizione differenti rispetto a quelle del leader, senza peraltro arrivare mai allo scontro. Quando Salvini liquidava il 25 Aprile da par suo, occhieggiando già a quella destra che lo tormenta negli incubi dei sorpassi meloniani poi avveratisi, Molinari ha sempre postato le sue foto alla celebrazione della Festa della Liberazione. Figurarsi trovare qualcosa, foss’anche solo un bicchierino di vodka in una serata tra amici, di filoputinismo nel presidente dei deputati e guida del Carroccio piemontese.
E proprio qui, nella terra del dio Po e dell’ampolla bossiana ormai consegnati all’album dei ricordi, certo non mancano i mal di pancia tra coloro che ai primi pratoni di Pontida avevano ancora i calzoni corti e adesso siedono in posizioni di potere o ambiscono a farlo. Un po’ bersaglio, un po’ parafulmine e se il caso lo richiede, pure un po’ paraculo, Molinari resta il plenipotenziario di una Lega che vive il travaglio di un leader la cui linea e prospettiva allarma e preoccupa a ogni sorgere del sole, con incognite e sortite imprevedibili e, non meno, incomprensibili.
“Il Capitano ha perso lucidità, non ha più il tocco magico”, sempre più di frequente questa frase la si ascolta nel corpaccione del partito piemontese, quello fatto non solo di militanti, ma anche di occhiuti dirigenti e scafati amministratori locali. Davvero “non si rende conto di quello che fa”, come sospettano e temono coloro che ormai non più troppo nascostamente affidano le loro speranze guardando a Giancarlo Giorgetti e ai governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga come salvifiche ancore di salvataggio per un partito che naviga con rotta mutevole e incerta in acque perigliose?
“La Lega ha un grande potenziale. Deve ripartire dai suoi amministratori, dunque dai territori. Questo è il potenziale a cui mi riferisco”, ha detto Alessandro Canelli, sindaco di Novara, in un’intervista al Foglio. Poche parole che dicono molto. E che arrivano da quella provincia dove il partito si muove a testuggine e pesa, pesa molto. Nelle parole di Canelli, che ovviamente non parla solo a titolo personale, c’è la critica all’attuale gestione del partito in Piemonte, ma nel contempo c’è anche un solidissimo puntello a Molinari. Quel che può apparire un paradosso, in realtà è l’applicazione della realpolitik per affrontare un passaggio che potrebbe essere esiziale. Da qui la necessità di fare quadrato, di scongiurare ogni ipotesi che l’ipotetico “capitanicidio” abbia come corollario il cambio alla guida del partito piemontese. Quand’anche dovesse accadere che l’asse Giorgetti-Zaia-Fedriga riuscisse a disarcionare Salvini, difficilmente Molinari finirebbe nella polvere. Tutti, anche e soprattutto nel suo Piemonte, gli riconoscono un’autorevolezza propria e solida.
Proprio la Lega novarese, di cui si è appena detto, sintetizza in una frase, chiarissima, questo eventuale scenario: “Riccardo non si tocca”, qualunque cosa accada, “Noi lo sosteniamo”. Questo non vuol dire che tutto vada bene, anzi. “La gestione del partito avrà bisogno nei prossimi mesi di una profonda revisione”, il messaggio che arriva dalla città di San Gaudenzio. Problemi nel partito, problemi nel gruppo in Consiglio regionale (“Una rappresentanza imbarazzante”). Nessuno si sogna di chiedere la testa del segretario, ma di chiedergli di mettere mano a quel che non va, sì. Molto dipenderà da quel che uscirà dalle urne delle amministrative di domenica prossima, per le quali Molinari è da settimane pancia a terra per conservare alla Lega la sua città, Alessandria, e per arginare ovunque l’avanzata dei Fratelli d’Italia.
Le urne di domenica prossima, con i referendum sulla giustizia in cui, al netto del merito della battaglia, è scontata la disfatta. E poi le politiche del 2023, con tutto quello che ne consegue. A partire dalla cancellazione, orami data per certa, dell’appuntamento congressuale. Lo statuto della “Lega Salvini Premier” prevede che le assise si svolgano ogni tre anni e le prime, quelle fondative, sono state celebrate il 21 dicembre 2019. Si farà entro la fine dell’anno? Sbocconcellando un panettone? Manco per sogno. Il Capitano, nel recente consiglio federale, ha dedicato poche parole per i congressi cittadini senza peraltro indicarne una data, “prima o poi li faremo”. Nessuna fretta, insomma. Del resto, in Piemonte la pesante e critica falange novarese la sua strategia non la nasconde: Molinari resta dov’è, qualunque cosa succeda. Anche perché, ammettono, “non c’è un’alternativa”.