RETROSCENA

Alessandria, palla al Centro: Lega e Pd in Azione su Barosini

Con il suo 15% l'uomo di Calenda è determinante per il ballottaggio. Molinari gli fa ponti d'oro (dopo che era uscito dalla giunta di centrodestra), i dem lo blandiscono. Superabile al secondo turno il veto dell'ex ministro su Salvini e Conte. Esclusi apparentamenti

“Quando hai il sindaco uscente che scivola sul piano inclinato è difficile in due settimane raddrizzarlo, il piano”. Nei ragionamenti romani Alessandria va in coppia con Verona, senza peraltro manco avere un Flavio Tosi cui aggrapparsi. Alla Lega, per provare a raddrizzare il piano inclinato su cui sta il suo Gianfranco Cuttica evitando che la cabala ventennale trovi conferma impedendo a chiunque dai primi anni Duemila entri a Palazzo Rosso di restarci per un secondo mandato, non resta che sperare in Gianni Barosini, l’ex Udc passato in Azione cui le urne hanno attestato un sostanzioso 14,64 per cento.

Marcato a uomo da Riccardo Molinari, dicono forse esagerando o forse descrivendo invece quel che tocca fare al capogruppo alla Camera e segretario regionale nella sua città. Compreso il tampinamento del centrista, extrema ratio per provare a non soccombere, il 26 giugno, riconsegnando la città al centrosinistra in campo largo con il piddino Giorgio Abonante che sale lo scalone di Palazzo Rosso. Lo stesso che Barosini aveva sceso un po’ di mesi fa dopo aver abbandonato la maggioranza di centrodestra e il posto di assessore ai Lavori Pubblici nella giunta Cuttica. Una mossa per preparare la corsa in solitaria (ma con quattro liste civiche che peseranno più di quattromila voti) dopo che, raccontavano allora i leghisti, aver trovato porta chiusa alla sua richieste di una candidatura alle politiche. Ruggini che adesso le truppe del Capitano in terra mandrogna, spazzano via, spazzolando le spalle al calendiano, come un solerte e sussiegoso barbiere dopo l’accurata spuntatura.

Basteranno tutte queste attenzioni a convincere l’appena promosso sul campo vicesegretario regionale di Azione a smentire le voci che, raccolte tra vecchie pantegane di sezione ancor prima del voto, strizzando l’occhio facevano intendere che all’uscita di Barosini dalla giunta di centrodestra qualcuno del Pd aveva in qualche modo lavorato, portandosi avanti? Se l’uomo di Calenda fosse rimasto nel centrodestra, oggi Cuttica quasi certamente avrebbe già incominciato il suo secondo mandato, Molinari sarebbe pancia al sole e non a terra, la cabala smentita e il Pd a celebrare il mesto rito dell’analisi del voto. 

Sarà per le porte improvvidamente chiuse dalla Lega, sarà per la caparbietà e capacità (di attrarre consensi) di chi era già a ragione noto come mister preferenze, sta di fatto che oggi il piano è inclinato per il centrodestra sui cui, per giunta, la Lega è scivolata non poco indietro rispetto ai Fratelli d’Italia. 

Criptico più di un doroteo, l’azionista di imprinting democristiano, quando non tace fornisce indicazioni per il taccuino al cui confronto i ragionamendi demitiani erano cristallina chiarezza e immediata sintesi. Si spinge in avanti, forse improvvidamente rispetto alla strategia dell'ex Udc, il vicesegretario provinciale dei calendiani Andrea Calvi, escludendo l'accordo con il centrodestra e aprendo a quello a favore del fronte opposto.

“Giorgio, devi parlare con Barosini”, a spoglio ancora in corso, Felice Borgoglio, la vecchia volpe socialista arrivata a ottanta primavere tenendosi sempre a distanza dalla pellicceria, regala il consiglio di cui forse Abonante non aveva neppure bisogno, ma che certo non tralascia di seguire. “Immaginare apparentamenti appare improbabile”. La valutazione dai vertici nazionali del partito di Calenda non mina “l’autonomia lasciata a livello locale”, ma certo inquadra quel che sarà il percorso che nel giro di qualche giorno dovrebbe portare alla decisione di Barosini su come muoversi. Mai con la Lega, mai con i Cinquestelle, Calenda dixit. “Sì, ma questo vale per il primo turno, per alleanze organiche, al ballottaggio è diverso”, spiega Barosini parlando con i suoi dopo una toccata e fuga in Svizzera a trovare il figlio, scaricare la tensione e far trepidare chi aveva fretta di parlargli. Un veto quello ad alleanze col partito di Matteo Salvini così come con quello di Giuseppe Conte, superabile con lo stesso placet dell’ex ministro. Tanto più non arrivando a sancire l’appoggio con un apparentamento, ipotesi che pare a dir poco improbabile. 

“Non dobbiamo fare mosse sbagliate”, avverte il centrista (per il quale nel centrosinistra si ipotizza il ruolo di presidente del consiglio comunale viatico per nuove avventure verso Torino o Roma) lasciando intendere di confermare quella linea registrata a livello nazionale nel suo partito che guarda con sospetto se non con contrarietà proprio agli apparentamenti. A dar conto alle stesse fonti l’ipotesi di un “ritorno” anche se non organico ma pur sempre di sostanza, coi voti insomma, nel centrodestra pare assai meno probabile rispetto a uno sguardo attento e non disinteressato verso il centrosinistra. Ma non vanno sottovalutate le parole di un esponente di spicco a livello nazionale di Azione, il vicesegretario Enrico Costa. Parlando con lo Spiffero, il deputato piemontese spiega: "Vedremo, senza pregiudizi, chi è disponibile a condividere fino in fondo il nostro progetto di città, che ha riscosso un ottimo riscontro nelle urne. Ovviamente la figura di Barosini sarà centrale in questo ragionamento". Avviso ai naviganti, specie a coloro che pensano di essere quasi arrivati in porto.

“Ci prendiamo ancora 72 ore per decidere”. Se invece che in giorni, misura il tempo in ore forse la decisione Barosini l’ha già presa. Come presentare il suo sostegno e come spiegarlo ai suoi elettori è quel che dovrà fare altrettanto in fretta. Dopo aver trattato sul resto, che è quel che conta.

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