Salario minimo, inutile e pure dannoso

In Europa è stata approvata una bozza di direttiva che stabilisce l’istituzione di un salario minimo per legge. Tale salario per ovvie ragioni di diverso costo della vita sarà differenziato per nazione. Almeno in questo caso è rimasto il contatto con la realtà dalle parti di Strasburgo. Ovviamente, un simile provvedimento introduce un ulteriore obbligo per i cittadini europei come se non fossero sufficienti quelli esistenti e chi ha posizioni liberali non può che giudicarlo negativamente. La vicenda ha in sé una curiosità intrinseca: ma se il settore del lavoro è iper-regolamentato con i contratti collettivi e i sindacati, perché nasce la necessità di un salario minimo fissato per legge? Ciò significa che in alcuni settori per alcune mansioni la paga oraria è inferiore al salario minimo ipotizzato per l’Italia che dovrebbe aggirarsi intorno ai 9 euro lordi. È di tutta evidenza che se alcuni contratti non raggiungono la cifra oraria ipotizzata significa che non è possibile pagare di più per quella mansione e che i sindacati non sono riusciti ad ottenere condizioni migliori. Se esiste una situazione così cristallizzata l’introduzione del salario minimo come potrebbe impattare sui lavoratori? Si rischia di avere dei contratti formalmente corretti, ma che nascondono situazioni reali ben diverse come d’altronde già accade adesso. Il fiorire di “consulenti” a partita iva con un singolo cliente già nascondono un contratto di dipendenza mascherato. Non si rischierebbe di portare ad aumentare l’irregolarità nel mondo del lavoro?

Gli stipendi in Italia e non diremo niente di nuovo sono bassi e fermi da anni per non dire decenni e il problema esiste ed è inutile negarlo. Ora con l’inflazione si aggraverà ulteriormente, perché a stipendi fermi si contrappongono aumenti delle bollette e della spesa alimentare. Parallelo al problema degli stipendi si trova quello della mancata crescita della produttività italiana. Se si fa il confronto, per esempio, con la produttività della Germania, si vedrà un divario enorme con la produttività tedesca cresciuta negli ultimi anni, mentre quella italiana ferma. L’aumento degli stipendi senza corrispondente incremento della produttività produce un aumento dei costi per l’impresa con conseguente perdita di competitività. Logica vorrebbe che si intervenisse sul lato della produttività prima di aumentare gli stipendi e il salario minimo per la situazione italiana è partire dalla coda del problema e non dalla testa. Detto ciò, non si può liquidare il problema degli stipendi bassi aspettando che la produttività cresca miracolosamente. Un intervento è quello di una rimodulazione delle aliquote Irpef degli scaglioni più bassi come si è già incominciato a fare per dare un minimo di respiro a chi ha gli stipendi fermi da anni.

Per il problema della produttività una delle cause potrebbe essere una mancanza di investimenti e bisognerebbe fare in modo che le imprese italiane aumentino la loro capitalizzazione. Anche qui una elevata tassazione riduce la possibilità che le aziende aumentino il loro livello di investimento. A questo si aggiungono i problemi legati alla burocrazia, una legislazione farraginosa e anche una certa arretratezza del tessuto economico italiano che fa fatica a tenere il passo con le nuove tecnologie.

L’economista Francisco García Paramés scrive in un suo libro sugli investimenti che in presenza di capitali abbondanti il lavoro diventa più raro e pertanto viene meglio remunerato, mentre al contrario in presenza di molti lavoratori e di capitali scarsi gli stipendi non posso essere che bassi. Per esempio, in Svizzera si ha una situazione in cui i capitali sono abbondanti e gli stipendi alti per quanto il costo della vita sia piuttosto alto.

La situazione italiana è quanto meno curiosa perché da un lato abbiamo imprese sottocapitalizzate e dall’altra le banche con i conti correnti pieni di liquidità con gli italiani restii ad investire. La riluttanza ad investire è sia dovuta a resistenze culturali sia alla arretratezza del sistema bancario e finanziario italiano che per anni è stato drogato dagli alti tassi interessi dei titoli di stato e da un sistema pensionistico statale piuttosto generoso. Perché investire in titoli azionari che rappresentano quote di società quando in passato era facile ottenere il 10% senza fare nulla grazie ai Bot? Da anni la situazione è cambiata, ma rimane ancora una mancanza di fluidità nel sistema finanziario dove i capitali rimangono fermi sui conti correnti piuttosto che essere investiti e per giunta con l’alta inflazione attuale i soldi sui conti correnti diminuiscono di valore.

Il problema degli stipendi bassi è piuttosto complesso e il salario minimo per legge non risolverà il problema e rischia di aggravare il problema del nero nel mercato del lavoro.

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