GRANA PADANA

Lega, più lotta e meno governo. Molinari abbaia ma non morde

Il capogruppo e segretario piemontese attacca Pd e M5s per mandare un messaggio a Draghi: "Così non si può andare avanti". Una mossa che serve a chiamare in correità Salvini per le sconfitte alle amministrative. Con Giorgetti e Fedriga per lui non c'è spazio

E Calimero diventò un falco. Dopo giorni in cui è andato chiedendo e chiedendosi perché nella débâcle generale della Lega ai ballottaggi il bersaglio prediletto, il colpevole numero uno, la causa di tutti i mali emersi dalle urne della sua città, Alessandria (ma anche Omegna e Acqui Terme), fosse proprio e solo lui, Riccardo Molinari trova forse senza neppure cercarlo il momento in cui mostrare d’essere anche cuor di leone. Non di meno per sancire con evidente nettezza la sua posizione sulla linea di Matteo Salvini in una geografia leghista dove i confini tra l’ala governista capeggiata da Giancarlo Giorgetti e quella più movimentista incarnata, tra corse in avanti e inciampi, dal leader sono ormai linee di battaglia del fronte interno, 

Quando ieri pomeriggio il capogruppo alla Camera convoca a riunione dei parlamentari per discutere “cosa fare” di fronte alle proposte di legge su ius scholae e cannabis “forzatura di Pd e Cinquestelle, volgare provocazione che mette a rischio la maggioranza di governo”, appaiono chiare almeno un paio di cose: Molinari ha certamente concordato con Salvini quel gabinetto di guerra che si riunirà di lì a poco, la minaccia di un’uscita dal governo contiene un malcelato e forte convincimento del deputato piemontese che rimanda proprio alle sconfitte rimediate nei ballottaggi dopo un primo turno non certo esaltante se si fanno salve le vittorie parecchio civiche di Genova e di Asti, per restare al Nord. Non è un mistero che nei ragionamenti post-voto il segretario regionale della Lega abbia sempre rimandato all’essere nell’esecutivo di Mario Draghi la causa principe della sconfitta. Motivazione più semplice, non smentibile in assenza di controprova e, soprattutto, summa di quella correità nella debacle che Molinari, come ogni politico, invoca più o meno apertamente.

“Così non si può andare avanti” dice il presidente dei deputati leghisti, ruolo importante nel quale gli sono riconosciute autorevolezza e capacità oratoria anche dagli avversari, ma che gli fu lasciato di malavoglia da quell’eminenza grigioverde di Giorgetti con cui i rapporti sono da sempre di reciproca diffidenza. Figurarsi adesso, tant’è che uscendo per qualche istante dalla riunione Molinari avverte: “Questo governo è nato per mettere insieme le forze migliori del Paese per portarlo fuori dalla pandemia, per gestire il Pnrr, per affrontare l’emergenza del caro carburanti, quella sociale, per parlare di lavoro, pensioni, economia, invece su proposta dei Cinquestelle e della sinistra si sta discutendo di uno ius soli mascherato e di liberalizzazione delle droghe”. 

O quelle proposte si ritirano o Draghi non regge, il messaggio che conclude la riunione e diventa ultimatum. Nelle decine di lanci di agenzia, nelle dichiarazioni più o meno a margine, non se ne trova una del ministro cui la parte più malmostosa verso il Capitano guarda con più illusioni che speranze. Evocato ancora recentemente da Paolo Damilano, l’imprenditore acqua & vino candidato sindaco di Torino legato a lui da antica amicizia, di Giorgetti non c’è traccia. E neppure dell’altro leghista di governo, il ministro del Turismo Massimo Garavaglia.

Sul fronte opposto, quello che vede nella partecipazione all’esecutivo di larghissime intese l’origine del calo di consensi, c’è chi vede addirittura un Molinari più avanti dello stesso Salvini. “Lo sta spingendo a uscire” azzarda qualcuno cercando di decifrare le mosse del capogruppo-segretario regionale. Un Molinari, per alcuni versi, inedito, certamente meno moderato di quanto lo sia stato in più di una circostanza, talvolta persino marcando leggermente, per carità, differenze col Capo. Vedere un posizionamento deciso, in un momento in cui nel partito si agitano fronde, non è illogico, al netto del personale e indiscutibile convincimento sulla posizione da tenere di fronte a una corsa decisamente in avanti del campo largo.

Chi non lo ama spiega che “per lui non ci sarebbe spazio con Giorgetti, con Fedriga non c’è feeling e Zaia è Zaia, manco lo vede”. Nella sua regione stormi di falchi hanno hanno riportato il Verbo. “Al governo abbiamo fatto tanto, ma il messaggio fa fatica a passare e le persone vogliono messaggi politici chiari” dice il capogruppo in Consiglio regionale Alberto Preioni, più che falco una specie di corvo Rockfeller sulla spalla del ventriloquo. “Abbiamo sollevato per tempo la questione, ma la sinistra è stata arrogante”, spiega Molinari. “Una riunione del Gruppo Parlamentare più viva che mai. A Draghi diciamo con forza: così non si può andare avanti!”, ripete come un papagallo Alessandro Giglio Vigna, deputato del suo cerchio magico, non un falco ma neppure un’aquila. “Se lasceremo il governo? Siamo in riunione apposta per deciderlo”. La riunione finisce, non la questione: “Ci aspettiamo di capire dai capi dei rispettivi partiti e anche dal governo – spiega Salvini  – cosa si intende fare. Così non si può andare avanti”. La stessa frase pronunciata prima dell’incontro da Molinari. Mai stato una colomba, ma neppure mai così falco.

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