DIARIO DELLA CRISI

Tutti convocati, parlamentari col fiato sospeso (e sul collo)

Il partito di Conte sull'orlo di una crisi di nervi (e di un'altra scissione). Salvini parla di elezioni, ma il suo bacino elettorale (e molti amministratori) vogliono che Draghi resti. L'ala filogrillina del Pd. Riunioni a raffica oggi e domani. Con un occhio al proprio scranno

I tre giorni del condor si stanno consumando in ore d’ansia e di incognite nell’attesa di quel che succederà, o meglio di quel che deciderà Mario Draghi, mercoledì. Intanto i Cinquestelle sono sull’orlo di una crisi di nervi, con Giuseppe Conte costretto a rinviare la prosecuzione dell’infiammata assemblea degli eletti per sventare una pressoché certa nuova scissione con addirittura una quarantina di parlamentari dati sulla via di Luigi Di Maio nell’appoggio al premier. 

Mai il film di una delle innumerevoli crisi di Governo ha avuto una trama tanto apparentemente semplice, quanto con un finale da trattenere il fiato, con la crisi più anomala che si ricordi: i numeri che consentirebbero al presidente del Consiglio di proseguire agevolmente e un Paese che gli chiede a gran voce con molte autorevoli voci (cui si aggiungono quelle pesanti delle cancellerie europee e di Oltre Atlantico) di restare.

Cosa deciderà Draghi lo si saprà soltanto dopodomani, anche se si alternano voci su possibili ripensamenti non certo senza condizioni, ad altre che ripetono come l’ex numero uno della Bce sia persona che pensa a quel che dice e fa quel che dice. Stando a quest’ultimo assunto la strada sarebbe segnata: Draghi è stato molto chiaro in consiglio dei ministri così come nel colloquio al Colle. Altrettanto chiaro e pesante, tuttavia, è il segnale che arriva dal Paese e che, eccetto frange contrarie e tafazziste per partito preso che pure albergano con precisi interessi di bottega anche nelle fila di forze della maggioranza, riconoscono la necessità assoluta di proseguire fino al termine naturale della legislatura con lui a Palazzo Chigi. 

Nel frattempo si può dire: tutti convocati. Dei Cinquestelle e del loro travaglio (con la minuscola) si è già detto e oggi se ne potrebbero vedere delle belle alla ripresa dell’assemblea in convocazione permanente. L’ipotesi di un Draghi che accetti di restare, dopo aver spaccato definitivamente il movimento riducendo a poco più di nulla il partito di Conte e governare fino alla fine senza diktat è sempre più chiara nella cerchia dell’avvocato del popolo, sempre più delle cause perse. 

E mentre Matteo Renzi, col fiuto e la rapidità politica non riconosciutagli nei consensi galoppa con la sua petizione con l’obiettivo delle centomila firme a sostegno di un Draghi bis, Lega e Forza Italia mal nascondono nel comunicato congiunto uscito da villa Certosa al termine dell’incontro di Matteo Salvini con Silvio Berlusconi la reale intensione di non accelerare sul voto, anzi. Quei ceti produttivi da cui arrivano appelli alla permanenza del premier cosa sono se non almeno in buona parte, specie al Nord, il serbatoio elettorale del partito di Salvini che i voti li prende (o li perde) lì, non certo indossando la maglietta dei Nocs in incomprensibili ritorni di fiamma (senza alcun riferimento a Giorgia Meloni) alle felpe viminalizie in versione canicolare. Il Capitano incontrerà stasera alle 20 e 30 tutti i suoi parlamentari. La linea è quella uscita ieri dall’incontro in Sardegna: non si può continuare a governare con i Cinquestelle, sono inaffidabili. Quindi, pronti al voto”, però se si prosegue è meglio. Lo spettro di un’elezione da cui la Meloni esca con l’investitura da premier (che poi lo faccia lei o qualcun altro tipo Giulio Tremonti, poco importa a Salvini) è scenario da incubo per la Lega. Che deve anche fare i conti con quelle centinaia di sindaci e amministratori i quali, guardando al Pnrr e ai soldi che aspettano per i loro territori, spingono affinché Draghi resti. 

A fare sponda a quamto resta del mondo grillino è la parte sinistra del Pd, quella del ministro Andrea Orlando, del vicesegretario Giuseppe Provenzano e di quei parlamentari e dirigenti che ancora guardano al campo largo e non vogliono rescindere il legame con chi ha provocato la crisi. “Aspetterei a trarre delle conclusioni. Mi auguro che nel M5s la discussione, che mi sembra molto complicata e lunga, si chiuda con una considerazione che guardi al fatto che c'è l'esigenza di non compromettere la possibilità di affrontare l'agenda sociale che loro hanno rivendicato”, spiega Orlando rifiutando l’idea del naufragio del campo largo.

Con queste premesse domani sera ci sarà la riunione dei parlamentari dem convocata da Enrico Letta. E proprio tra gli eletti del Pd (ma non solo) e non di meno tra chi spera di poterlo diventare, si guarda al voto anticipato come a uno scombussolamento di piani che erano proiettati alla primavera prossima, con mesi di tempo che potrebbero ridursi di molto, come di molto si sono ridotti i posti disponibili alla Camera e al Senato. Anche questo, soprattutto questo, peserà nelle posizioni che emergeranno, ormai, a poche ore dal discorso di Draghi in Parlamento che, in un modo o nell’altro, metterà un punto fermo sulla crisi.

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