Ora stop alla propaganda

Se uno dovesse orientarsi e trarre un giudizio politico da ciò che ascolta nei vari talk televisivi o scorrendo le opinioni dei commentatori del “politicamente corretto” dopo il libero voto del 25 settembre, arriverebbe alla facile conclusione che siamo alla vigilia di un cambiamento radicale nella cittadella politica italiana. Un cambiamento, però, che stavolta evoca brutti presagi e un futuro carico di nubi. Sempreché dovessimo prendere per oro colato ciò che ci raccontano questi “soloni”. C’è, però, un piccolo particolare che fa emergere la distanza siderale tra ciò che ci raccontano quotidianamente questi sempre più noiosi “narratori” e ciò che capita realmente nelle pieghe della società italiana, molto più complessa e articolata di quel che appare.

Ora, il nodo centrale a cui prima o poi occorrerà dare una risposta, è molto semplice. E cioè, dopo la proclamazione degli eletti al Parlamento e alla vigilia della formazione del nuovo governo di centrodestra, si continuerà a parlare per molto tempo ancora delle solite cianfrusaglie propagandistiche – ovvero, “rischio fascismo”, “deriva illiberale”, “compressione dei diritti”, “libertà in pericolo”, “governo autoritario”, “allarme democratico” – oppure ci si concentrerà sui problemi concreti dei cittadini italiani? La domanda non è affatto retorica per la semplice ragione che settori sempre più consistenti della politica e dell’editoria del nostro paese continuano imperterriti a parlare di possibile ritorno di una “postura fascista” senza rendersi conto che a volte l’odio politico e il dogmatismo ideologico possono giocare brutti scherzi al punto di confondere i propri convincimenti e i propri desideri con la realtà che, come ovvio e scontato, è radicalmente e platealmente diversa da quello che uno pensa o descrive.

Certo, e va pur detto, la sinistra comunista e post-comunista in Italia e da sempre, identifica i propri nemici/avversari con dei potenziali “fascisti”. È una notizia, questa, talmente risaputa che non merita neanche di essere commentata. È stato così per molti lustri con la straordinaria esperienza politica, culturale, sociale e di governo della Democrazia Cristiana. È stato così per Berlusconi, poi per Salvini, addirittura per Renzi ai tempi del referendum costituzionale. Figurarsi con l’arrivo al governo di Giorgia Meloni e della sua coalizione di centrodestra. Certo, è un vecchio difetto della sinistra comunista e post-comunista quello di criminalizzare politicamente il suo avversario/nemico e il tentativo di annientarlo e distruggerlo a livello politico ed elettorale.

Ma, detto questo – cioè un fatto abbastanza risaputo nella storia politica italiana – adesso il tema assume un’altra valenza. E cioè, si tratta di capire se la sinistra italiana nelle sue molte sfaccettature – politica, culturale, sindacale, televisiva, artistica ed editoriale – concentrerà la sua battaglia politica nei prossimi mesi quasi esclusivamente sul “rischio del ritorno del fascismo” o se, al contrario, ritorna ad essere centrale la regola di un confronto politico e parlamentare “normale” sui contenuti, e cioè ispirato ai principi e ai valori di una democrazia parlamentare e liberale. Purtroppo, però, è appena sufficiente ascoltare le riflessioni quotidiane del segretario del Pd Letta e di tutti i suoi sostenitori a livello politico, giornalistico e televisivo per rendersi conto che questa litania sul “ritorno del fascismo” è appena agli inizi. Altroché l’opposizione dura ma costruttiva; altroché accettare il responso democratico delle urne; altroché la centralità dei contenuti a scapito delle pregiudiziali ideologiche e novecentesche. Se il buongiorno si vede dal mattino, è abbastanza naturale, nonché scontato, che la battaglia della sinistra post-comunista sarà tutta concentrata sugli slogan che conosciamo da oltre 50 anni e che troveranno puntualmente nella deriva degli “opposti estremismi” il suo epilogo finale.

Ma, al di là delle singole opinioni, c’è da augurarsi davvero che di fronte ad un contesto sociale sempre più drammatico ed incerto, la logica del “tanto peggio tanto meglio” venga archiviata al più presto. Anche perché non può essere solo la “piazza” il terreno del confronto politico in una democrazia matura. Democrazia parlamentare, innanzitutto. A volte, anche la propaganda più smaccata deve cedere il passo alle regole più elementari della cultura democratica e liberale.

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