RETROSCENA

Pressing su Crosetto: sarà ministro

Addio a Leonardo, quando la Capa chiama anche il gigante di Marene non può che rispondere "presente". Otterrebbe lo Sviluppo Economico. La difesa a Urso. Berlusconi dà di matto e Salvini si incarta. Ultimi giorni di febbrili trattative

La trattativa sul governo? “È finita ma a noi non ci sta bene. Non ci piacciano i veti”. Silvio Berlusconi è visibilmente rabbuiato all’uscita da Palazzo Madama dopo l’elezione di Ignazio Maria Benito La Russa alla presidenza del Senato. Licia Ronzulli sarà ministro? “Non ci piacciano i veti”, ha risposto l’ex premier confermando così come sulla cortigiana di Arcore, che lui vorrebbe promuovere alla guida di un dicastero di peso, si stiano consumando uno dei tanti bracci di ferro tra gli alleati. Quello che per il vecchio monarca ha una valenza più che simbolica: “Mi avevate promesso tre ministri, vaffanculo”, ha detto a La Russa sbattendo la penna e chiudendo concitatamente la cartellina pochi attimi prima della votazione.

Ora che la prova di forza (l’astensione di Forza Italia sull'elezione del presidente del Senato) è miseramente fallita, peraltro scatenando dure reazioni tra gli stessi berluscones stufi delle angherie della Crudelia azzurra, in Fratelli d’Italia fanno sfoggio di cauto ottimismo. Certo, manca ancora uno snodo importante per misurare la tenuta degli accordi – il voto di domani del successore di Roberto Fico alla Camera – però l’abbrivio sembra quello giusto. E qualche tassello del puzzle comincia a incastrarsi.

A partire dall’Economia dove, salvo ripensamenti, non siederà un tecnico pur a lungo cercato e blandito. Del via libera di Salvini su Giancarlo Giorgetti si fida come ci si può fidare di un baro ma al momento sembra un punto fermo. Al netto delle dichiarazioni ufficiali, il Capitano teme che si tratti di una mossa ostile, utile a dar man forte alla dissidenza (per quanto silente) se non, addirittura, per lanciare un’Opa su quel tessuto produttivo del Nord un tempo terreno fertile della Lega. È ossessionato dai fantasmi, vede complotti dietro ogni angolo, parla poco con il suo stesso entourage e cambia continuamente idea. Ovviamente otterrà assai meno di quanto chiede. Il Viminale è ormai svanito – probabilmente ci andrà il prefetto di Roma Matteo Piantedosi, capo di gabinetto di Salvini nel governo Conte 1, oppure se toccasse a Fratelli d’Italia Giuseppe Pecoraro, ex prefetto e candidato non eletto con il partito della Meloni – non restano che le Infrastrutture (nei sogni del “fidato” Edoardo Rixi) e l’Agricoltura. Il Mit è un dicastero che, nei prossimi anni, gestirà parecchi fondi del Pnrr e, pertanto, la premier in pectore vorrebbe che a occupare quella casella fosse un uomo di FdI, ad esempio Fabio Rampelli.

Sistemato uno dei due cofondatori del partito men che meno intende privarsi dell’altro, piuttosto ingombrante (e non solo per la stazza). Guido Crosetto è un gigione formidabile, un campione nella dissimulazione delle sue reali intenzioni ma davanti alla chiamata della Capa difficilmente può sottarsi. Ecco perché il borsino dà il gigante di Marene nella squadra di governo, probabilmente allo Sviluppo Economico (rafforzato con qualche delega attualmente in capo alla Transizione ecologica e all’Innovazione, tipo l’energia). Non è un mistero che Crosetto preferirebbe la Difesa, settore nel quale prima da sottosegretario e in ultimo da rappresentante delle imprese del comparto, ha maturato esperienza e relazioni internazionali ad alti livelli. Ma a Palazzo Baracchini Meloni preferirebbe Adolfo Urso, se non altro per sminare il terreno da potenziali conflitti d’interesse.

Il resto della lista è cosa nota, con lo stesso grado di attendibilità delle previsioni astrali. Agli Esteri è dato per “sicuro” Antonio Tajani, slave prediletto della Ronzulli (che ora pare declassata a capogruppo), alla Giustizia se la giocano Carlo Nordio e Giulia Bongiorno (e pure qui il Cav mastica amaro). Per la Sanità torna in auge Letizia Moratti che avrebbe fatto sapere di essere disposta a lasciare campo libero ad Attilio Fontana in Regione Lombardia solo per il ministero della Salute. “La Moratti, però, spaventa la Meloni perché è una figura troppo autonoma e, quindi, per lei si sta pensando di dirottarla verso l’Istruzione”, spiegano fonti vicine al dossier.

print_icon