RETROSCENA

Addio alla presidenza della Camera, Salvini "brucia" anche Molinari

Dopo Calderoli, sacrificato al Senato, la Lega cambia cavallo pure nell'altro ramo del Parlamento. Sullo scranno più alto di Montecitorio il vicesegretario federale Fontana. Quelle grane giudiziarie che hanno stoppato il piemontese che resterà capogruppo

#Riccardostaisereno. Alla vigilia del voto decisivo Riccardo Molinari vede sfumare la poltrona di presidente della Camera. Matteo Salvini, dopo aver bruciato nell’altro ramo del Parlamento Roberto Calderoli, ha deciso di cambiare il cavallo in dirittura d’arrivo. Sarà infatti Lorenzo Fontana, vicesegretario federale e ministro alla Famiglia nel primo governo Conte, noto per le sue simpatie putiniane e destrorse (Alba dorata) il candidato della Lega che, per la coalizione di centrodestra, siederà sullo scranno più alto di Montecitorio. Molinari resterà alla guida dei deputati leghisti, come lo stesso Salvini ha annunciato in queste ore definendolo “il miglior capogruppo possibile ruolo per me politicamente più rilevante per i prossimi cinque anni”. Un po’ di zucchero per buttare giù il boccone amaro.

Nelle ore convulse che accompagnano le votazioni per la presidenza della Camera emerge pure una detronizzazione: quella di Piero Fassino, indiscusso re delle profezie al contrario, ad opera dell’azzurro e conterraneo piemontese Roberto Pella. “Alla Camera voteremo un candidato della Lega che al 99% sarà Molinari”, aveva vaticinato l’azzurro.

E invece è proprio quell’un per cento a decretare la fine di un percorso che pareva ormai giunto ben oltre l’ultimo miglio per Molinari. Ancora tutt’altro che chiare le ragioni che hanno portato Matteo Salvini all’ennesima giravolta con il “ritiro” del suo storico braccio destro ai tempi dell’ascesa in via Bellerio e pure dopo. È pur vero che il leader della Lega non aveva mai fatto in prima persona il nome di Molinari, lasciando però che circolasse con sempre maggior insistenza e con sigilli di autorevolezza dati da più di una fonte interna. Il punto tenuto, fino a questa mattina, su Roberto Calderoli quale figura indicata per succedere nel ruolo alla Casellati aveva posto un po’ in secondo piano la questione della presidenza della Camera. Ma dopo il passo indietro dell’ex ministro, fatto pesare sugli alleati dallo stesso Salvini, e soprattutto dopo l’elezione di La Russa la questione aveva ripreso la scena, anche se le due votazioni segnate dalle schede bianche avevano lasciato intendere che vi potesse essere qualcosa di più di una semplice strategia o di un’attesa di ulteriori risposte alle istanze di Salvini a Giorgia Meloni.

Dal canto suo, Molinari ha sempre tenuto in queste ore un profilo più che basso, nessuna dichiarazione, nulla che potesse anche lontanamente creare ostacoli sulla strada che per lui pareva ormai in discesa verso Montecitorio. La decisione del Capitano pare sia motivata dalle grane giudiziarie che porteranno Molinari a comparire il 24 novembre davanti ai giudici del tribunale di Torino dov'è accusato di falsificazione di atti elettorali per aver modificato la lista elettorale della Lega alle Comunali di Moncalieri. I fatti risalgono al 2020, quando venne aperta l'inchiesta in seguito a un esposto dei Radicali, l'anno successivo è stato quello del rinvio a giudizio, ora, dopo l’udienza preliminare, inizierà il dibattimento.

Avere un presidente della Camera a processo proprio per questioni inerenti il voto non è gran cosa, va ammesso. A quanto pare Salvini ha auspicato fino all'ultimo di portare Calderoli sullo scranno più alto di Palazzo Madama, rendendo automatica l'assegnazione della presidenza di Montecitorio a FdI, quando è stato evidente che Giorgia Meloni non avrebbe ceduto su La Russa, allora ha affrontato il "nodo Molinari". E non è escluso che la stessa premier in pectore che, come noto nutre molta diffidenza verso “Mol”, abbia fatto leva sulla questione giudiziaria per azzopparlo sulla linea del traguardo.

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