BERLUSCONEIDE

Forza Italia ronzullizzata: "Meno siamo meglio stiamo"

In Piemonte la trimurti (Zangrillo-Rosso-Pella) è allineata con la Crudelia di Arcore. Intanto prosegue la diaspora di amministratori e attivisti. Ma che importa? Ai capataz interessa solo garantirsi lo strapuntino parlamentare. E Cirio che farà? Per ora l'opossum

Sofferente, claudicante, affaticato. Mai l’immagine di un leader incarnò in maniera così dirompente e tragica quella del suo partito. La maschera di sofferenza disegnata sul volto, l’andatura malferma, l’umore nero di chi è costretto a imboccare la strada di Canossa verso via della Scrofa per l’incontro riparatore con Giorgia Meloni, è l’umanissima raffigurazione dello stato di salute di Forza Italia. Il viale del tramonto, quello che ai tempi d’oro venne definito da fiacchi avversari il partito di plastica, Silvio Berlusconi lo ha imboccato da tempo. Les feuilles mortes della celebre canzone di Yves Montand, cavallo di battaglia quando giovane di belle speranze faceva strage di cuori sulle navi da crociera, non cadono soltanto sui passi del vecchio leone stanco e provato, ma coprono anche quelle lande del Paese dove l’autunno forzista si è già palesato da tempo nelle urne delle amministrative e un rigido inverno s’annuncia alle future prove del voto.

Capiterà, senza dover attendere troppo tempo, in Piemonte dove nel 2024 si voterà per le regionali, e dove il partito azzurro sembra ormai una stinta fotocopia di quello che per oltre un ventennio ha segnato – nel bene e nel male – la politica locale e la vita amministrativa. Non è banale nostalgismo, né può esserlo definito per comodo, il ricordare una stagione che lasciò segni profondi sui quali il giudizio ovviamente differisce a seconda dei punti di vista e degli schieramenti, ma certo non si può negare abbiano inciso in maniera incommensurabile rispetto a quanto accada oggi. Sembrano passate ere geologiche dai tempi delle giunte di piazza Castello guidate da Enzo Ghigo, dalla vittoria sfiorata per un soffio a Torino da Roberto Rosso, quello originale. E sembra pure una sorta di paleozoico il periodo in cui già con un partito in difficoltà, con eletti morosi e neppur più una sede venne tenuto in piedi solo dalla caparbietà e dall’impegno dell’allora coordinatore, oggi ministro in pectore, Gilberto Pichetto che mostrò le sue capacità nei conti e il suo rigore laico, quasi lamalfiano, quando si trattò di gestire i bilanci della Regione da vicepresidente della scalcagnata giunta di Roberto Cota (leghista folgorato sulla via di Arcore).

Oggi se in Piemonte Forza Italia fosse un luogo fisico, vi si potrebbe vedere all’ingresso un cartello giallo con una scritta nera: “Area renzullizzata”. A parte il già citato Pichetto che i capataz locali hanno cercato di ostacolare in tutti i modi il suo ritorno in Parlamento arrivando a disconoscere la sua candidatura al governo come espressione del territorio, il resto del vertice forzista è votato in cieca lealtà all’ex infermiera. Fedelissimo di Licia Ronzulli è, per restare in ambito sanitario, il fratello del medico personale del Cav, Paolo Zangrillo, paracadutato nel 2018 in Parlamento e catapultato al vertice del partito in Piemonte con l’effetto di “fascisti su Marte” di Corrado Guzzanti, o se si preferisce “un americano a Roma” di Sordi. “Zangrullo”, evocativa storpiatura nata da un refuso di un quotidiano torinese, ben presto individua i suoi scherani, cui assicurerà la rielezione, nel biellese Roberto Pella e, ancor più, in Roberto Rosso, detto Red Patacca per distinguerlo dall’omonimo ex sottosegretario (poi passato in Fratelli d’Italia e finito in guai giudiziari), il cui cursus politico attraversa tutto il centrodestra partendo dalla Lega di Gipo Farassino a successive transumanze (accolito del federale di An Ugo Martinat poi l’approdo ai lidi berlusconiani)

Kiss me Licia, baciata dalla (s)fortuna di Forza Italia la trimurti azzurra è comoda nel ridotto di una valle di lacrime, dove c’è chi continua a sfoggiare sorrisi Arcore style all’insegna del motto, tradotto in pratica nella formazione delle liste, “meno siamo, meglio stiamo”. Difficile non gridare allo scandalo nel non vedere in Parlamento una figura, pur con i suoi lati spigolosi e l’attitudine a inimicarsi quasi tutti, come quella di Claudia Porchietto, mentre a Palazzo Madama scorrazzano torme di yesman senz’arte ma forti di stare da una parte (giusta). Per non dire di chi è entrato in Forza Italia con i calzoncini corti e ne ha contribuito alla crescita in Piemonte, restando fedele e leale anche nei momenti più difficili, nonostante le sirene di altri partiti. Eppure, Carlo Giacometto è stato piazzato al secondo posto dopo Porchietto in un collegio impossibile. E un altro ex giovane, tra i berluscones della prima ora, come Davide Balena, ormai rassegnato a fare l’ufficiale di collegamento del governatore e l’eterno consigliere di circoscrizione.

Come sono lontani i tempi gloriosi della storica sede di strada Mongreno e della fucina di vicolo San Lorenzo. Da lì in poi un precipitare, una diaspora ininterrotta: Ghigo, la buonanima di Angelo Burzi, Enrico Costa, il duo di Giaveno Daniela Ruffino-Osvaldo Napoli. Per non dire di Guido Crosetto, che del partito è stato coordinatore regionale e oggi è sulla cresta dell’onda meloniana. E come si stanno avvicinando momenti ancor peggiori, con defezioni che si annunciano prossime, ben prima dell’appuntamento del 2024 quando, se va bene (cioè male), il partito di Berlusconi potrà sperare al massimo di portare a Palazzo Lascaris un consigliere eletto a Torino e un altro a Cuneo, stop. Lo stesso capogruppo azzurro in via Alfieri, Paolo Ruzzola anche a fronte della concorrenza del sindaco di Rivoli Andrea Tragaioli, parrebbe attratto dalla sua storica sodale Ruffino verso i lidi calendiani di Azione. Sono in molti a giurare che non sarebbe l’unico a scendere dalla barca forzista con sempre più falle. Chi cederà il passo? Chi getterà per primo la spugna tra Alessandra Biletta (arrivata a Palazzo Lascaris con il biglietto vincente della lotteria del listino), gli assessori Marco Gabusi e Andrea Tronzano, il recente acquisto Mauro Fava (proveniente dalla Lega), il ciriano Francesco Graglia?

Domenica sera c’è stato il direttivo regionale allargato a quelli provinciali, tutti collegati in videoconferenza con l’imbucato Mino Giachino (ex sottosegretario di rito lettiano, nel senso di Gianni Letta, oggi in FdI) e una surreale sarabanda di lamentazioni e recriminazioni in uno sfogatoio. Interessante leggere alcuni commenti sulle chat, appena chiusa la diretta su zoom. Giudizi tutt’altro che lusinghieri su Renzullopoli, qual è ormai il fortino dirigenziale azzurro in Piemonte. Abita lì anche l’uomo che il Piemonte lo governa?

Da par suo Alberto Cirio cammina sulle acque, non come il Cireneo piuttosto come un funambolo sul cavo steso a cento metri d’altezza. Legato dal quinquennio a Bruxelles ad Antonio Tajani che resta la sua polizza per un eventuale ritorno al Parlamento Europeo, il governatore coltiva da sempre anche più che ottimi rapporti con la Ronzulli. Mezzo diplomatico, mezzo paraculo. Cosa farà però Cirio se i due fronti interni al partito, come pare, si divideranno ulteriormente? Da qui al 2024 che accadrà a Forza Italia? Forse proprio su questo interrogativo affida e procrastina la decisione sul suo posizionamento. Insomma, per ora prosegue con la tattica dell’opossum. Infine, un’ulteriore domanda: ci sarà ancora e come sarà Forza Italia quando si tratterà di votare il futuro governo del Piemonte? L’immagine del Cav che esce dal palazzo di via della Scrofa e quella che presto vedremo quando varcherà la soglia dello studio alla Vetrata del Quirinale per le consultazioni, potranno forse suggerire una risposta.

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