Una nuova mission per i partiti

Con il Governo di Giorgia Meloni forse tornano anche i partiti. Detto in altri termini, se torna la politica, di conseguenza, ritornano anche i partiti. Del resto, dopo la squallida e decadente stagione populista interpretata per eccellenza dal partito di Grillo e di Conte, è giunto il momento per invertire la rotta. E questo non solo perché il nuovo Governo sarà un esecutivo “politico” e non solo “tecnico” ma anche per la ragione che non è più tollerabile proseguire con una politica “liquida”, fatta da partiti del capo, da banali ed insignificanti contenitori elettorali e, soprattutto, da classi dirigenti improvvisate e casuali. Si tratta, cioè, di far ripartire una “lunga marcia” che abbia come epilogo finale quello di ridare qualità ed autorevolezza alla politica nel suo complesso. E quindi, credibilità della politica; ruolo dei partiti; ritorno delle culture politiche e qualità delle classi dirigenti.

Certo, questo significa anche mettere uno stop definitivo ad una selezione della classe dirigente che, di fatto, si è trasformata in una sorta di nomina in un semplice consiglio di amministrazione. Sfido chiunque, al riguardo, a sostenere il contrario. Le ultime elezioni politiche, come anche quelle precedenti, sono state una sorta di “nominificio” dei capi partito del tutto avulso dai desideri e dalle scelte degli elettori. La campagna elettorale, per quanto riguarda i futuri eletti in Parlamento, è finita il giorno in cui si sono depositate le liste. Tutti conoscevano – o meglio, mi correggo, gli addetti ai lavori conoscevano – già in anticipo i nomi e i cognomi dei futuri eletti. Salvo sconfitte clamorose e personali, come quelle coincise in sporadici collegi uninominali in tutt’Italia – non più di una manciata, come quella capitata in un collegio di Torino città – il resto era già tutto scritto. Quindi nessuna novità e nessuna possibilità da parte dei cittadini di poter scegliersi i propri rappresentanti. Altroché il potere del cittadino, la qualità della politica e la credibilità delle istituzioni democratiche….

Ora, al di là di considerazioni ormai del tutto scontate e persin inutili da ricordare, la vera scommessa resta quella di ricostruire i partiti. Operazione certamente non facile e né semplice ma decisiva ed essenziale per recuperare anche un dettato costituzionale che è stato clamorosamente aggirato in questi ultimi anni. E, accanto alla lenta ma necessaria ricostruzione dei partiti, pur senza alcuna regressione nostalgica, l’altra sfida è quella di mettere progressivamente in discussione la cosiddetta “personalizzazione” della politica. Non si tratta, cioè, di mettere in discussione il ruolo dei leader. Del resto, è appena sufficiente verificare quello che capitava nella Democrazia Cristiana per rendersi conto che in un partito ci possono essere grandi leader senza appaltare la guida politica ad un “capo” indiscusso e indiscutibile. Non a caso, Mino Martinazzoli amava dire che la differenza principale tra la prima e la seconda repubblica era semplice perché “un tempo c’erano i leader politici, adesso invece ci sono solo più i capi indiscussi ed adulati”.

Dunque, è una intera filiera che va rivista e ricostruita. E il cuore di questa “rivoluzione” democratica non può che essere il ritorno del ruolo, della funzione e della “mission” dei partiti. Dei partiti popolari intendo, e non di quelli elitari, personali o del capo. È indubbio, al riguardo, che il ritorno alla guida del Governo di un autorevole esponente politico con una chiara e netta caratterizzazione politica può indubbiamente aiutare questa operazione di rinnovamento e di cambiamento della intera politica italiana.

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