SANITÀ

Pronto soccorso in emergenza, "mancano 3 medici su 10"

Sit-in degli operatori sanitari davanti al Ministero della Salute. Oltre l'80% dei pazienti vengono dimessi entro 48 ore: così i dea sopperiscono alle mancanze del sistema sanitario. De Iaco (Simeu): "Di nuovo in piazza dopo un anno perché non è cambiato nulla"

“Medici e infermieri senza respiro”. “Serve ossigeno per il pronto soccorso”. Sono alcuni dei cartelli esposti dagli operatori sanitari dell’emergenza e del 118, che si sono dati appuntamento oggi davanti al Ministero della Salute, per chiedere di far fronte a “una situazione non più tollerabile”. Una rappresentanza proveniente da tutta Italia che ha risposto all’appello dalla Società italiana di medicina di emergenza e urgenza (Simeu) per denunciare una crisi raccontata dai numeri: nei pronto soccorso mancano circa 5.000 medici, in pratica 3 su 10. Obiettivo della manifestazione è chiedere al neo ministro della Sanità Orazio Schillaci provvedimenti urgenti accompagnati da una visione strutturale nel medio-lungo termine.

“A novembre 2021 – spiega Fabio De Iaco, presidente Simeu e primario all’ospedale Maria Vittoria di Torino – eravamo in piazza a Roma e ci torniamo ora perché, a distanza di un anno, non è cambiato nulla, se non in peggio. Le strutture di Medicina dell’emergenza-urgenza sono uno dei pilastri principali del Servizio sanitario nazionale, quello che interviene negli istanti in cui si gioca la vita e la morte delle persone. Ma siamo in un periodo di grandissima sofferenza e abbiamo la percezione che non ci si renda conto della gravità del problema”.

Non una protesta, non uno sciopero, ma un’azione di sensibilizzazione che parte proprio dai professionisti con una richiesta di attenzione sulle enormi difficoltà di un settore che corrisponde con i problemi quotidianamente vissuti dai cittadini, i pazienti, i loro famigliari. Il messaggio è semplice: l’emergenza urgenza salva le persone, deve poter operare nelle migliori condizioni possibili.

Di quanti operano nei Pronto soccorso solo il 58% sono dirigenti medici al momento in servizio; del restante 42% circa uno su quattro sono sostituiti da camici bianchi non dipendenti dal Servizio sanitario nazionale, con tipologie di rapporto “atipico” (liberi professionisti, medici di continuità assistenziale, non specialisti forniti da Agenzie di Servizi e cooperative). I restanti 3 su 4 dei professionisti mancanti restano di fatto non sostituiti, “provocando quindi quel significativo incremento del carico di lavoro sui medici in servizio anche rispetto alla necessità di copertura dei turni. Semplificando, mancano di fatto 3 medici su 10, ingaggio cooperative comprese”.

“Rispetto ai 20 milioni di accessi annui in pronto soccorso – afferma Simeu – 16,4 milioni di pazienti (l’82%) vengono gestiti in pronto e dimessi a domicilio entro 48 ore nonostante le condizioni estreme; il 14% viene ricoverato in reparti ospedalieri, con un tempo di attesa del posto letto (boarding) che è molto variabile localmente, ma che a livello generale certamente non corrisponde alle 6 ore previste dagli standard internazionali, poiché più del 50% dei pazienti urgenti è costretto ad aspettare non meno di 9 ore. In molti contesti locali la media di attesa è molto superiore, giungendo a non meno di tre giorni. Il 4% dei pazienti permangono in Pronto Soccorso per periodi superiori alle 48 ore (spesso anche per più di 72 ore). Si tratta di pazienti che vengono gestiti in maniera “impropria” dal personale che non dovrebbe più averli in carico dopo aver terminato la valutazione e averne identificato il percorso di soluzione. Si tratta di condizioni cliniche e assistenziali che non trovano risposte né a livello territoriale né a livello ospedaliero, a volte neanche famigliare. “Ancora una volta il Pronto Soccorso sopperisce le carenze del sistema”.

Un dato sconcertante emerge dall’indagine di Simeu che riguarda i decessi di pazienti deboli che avvengono in Pronto Soccorso dopo almeno 24 ore di permanenza, un tempo di gran lunga superiore a quello previsto per un percorso clinico diagnostico in urgenza. “Importante prendere atto che si tratta di persone in condizioni gravissime, spesso in fase terminale che dopo aver terminato il proprio iter diagnostico-terapeutico in urgenza necessiterebbero di un’assistenza specifica e dignitosa in un letto di degenza che purtroppo, per carenza, non trovano. Sono almeno 18mila, secondo le proiezioni, le persone che purtroppo raggiungono il fine vita in Pronto Soccorso secondo queste modalità, in un ambiente certamente non idoneo”. Questo drammatico numero descrive una condizione di pesantissimo impatto sui pazienti e sui loro cari, al quale si associa il peso che grava, sotto il profilo umano, etico e professionale, sui professionisti – medici e infermieri – che vivono quotidianamente “situazioni psicologicamente inaccettabili dettate da carenze organizzative e strutturali”.

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