Basta con i partiti personali

Se c’è un aspetto deteriore che ha caratterizzato in questi ultimi anni la vita politica italiana è quella dei cosiddetti “partiti personali”. Ovvero, i partiti che sono prima diventati strumenti nelle mani di una sola persona, il “capo”; poi hanno praticato una selvaggia personalizzazione della politica; infine hanno trasformato i tradizionali soggetti politici in semplici, grigi e banali cartelli elettorali. Insomma, un cambiamento radicale nella geografia politica del nostro Paese dove la stessa politica, di fatto, è stata sospesa a vantaggio della sola mediatizzazione del messaggio politico.

Ora, se si vuole invertire la rotta, seppure progressivamente e lentamente, dopo l’uragano populista innescato dai dogmi del grillismo – anche se il populismo demagogico, qualunquista, antipolitico e giustizialista continua, purtroppo, ad essere massicciamente presente e radicato nei gangli profondi della società italiana come ha dimostrato il recente voto del 25 settembre – va spezzato definitivamente il tarlo dei “partiti personali”. Perché quello è il vero tappo che impedisce alla politica di recuperare credibilità e, soprattutto, di ridare fiato culturale e progettuale allo stesso confronto politico. In una sola parola, bisogna restituire la politica alla politica, intesa come progetto, visione della società, rapporto con le persone, costruzione della comunità ed elaborazione culturale e programmatica. Tasselli che sono stati sistematicamente azzerati e cancellati all’interno dei “partiti personali”.

Ecco perché se è vero, com’è vero, che il ritorno a Palazzo Chigi di un esponente politico e qualificato come Giorgia Meloni segna anche il ritorno concreto e tangibile della politica, è altrettanto vero che tutto ciò deve anche tradursi in scelte che trasmettono una vera discontinuità rispetto ad un passato anche solo recente. A cominciare, appunto, dai partiti. Non è più tollerabile, al riguardo, che il tutto si riassuma attorno al verbo del “capo”. Un vizio e una progressiva degenerazione che, purtroppo, hanno attraversato orizzontalmente quasi tutti i partiti con grave nocumento per quelle categorie che storicamente hanno accompagnato il cammino e il percorso, a volte anche travagliato, dei partiti democratici e di massa. Ma in quei partiti, è bene sottolinearlo, la democrazia non è mai stata sospesa o, peggio ancora, cancellata sull’altare di una cosiddetta modernità ed attualità. Che poi si è trattata di una maldestra modernità perché non era nient’altro che una profonda e marcata regressione proprio sul versante del rispetto più elementare dei principi democratici e liberali.

Una prassi che perdura tuttora in molti partiti. È perfettamente inutile, al riguardo, parlare di “costituente”, di “federazione”, di “rinnovamento” e dell’immancabile “cambiamento” quando il tutto si riduce, come da copione, ad una “democrazia dell’applauso”, per citare una celebre espressione di Norberto Bobbio e ad una sostanziale venerazione nei confronti del capo. E, com’è persin troppo facile prevedere, il dibattito - per non parlare del dissenso - sono elementi del tutto estranei ed esterni all’impalcatura e all’assetto di questi partiti. È di tutta evidenza, del resto, che la “nomina” dei deputati e dei senatori, perché di questo si tratta qualche parliamo di elezioni politiche comprese le ultime, è perfettamente funzionale a questa impostazione di partito. Altroché la scelta degli elettori della classe dirigente di riferimento. Detto in altre parole, i partiti personali sono l’altra faccia della medaglia dei sistemi elettorali che non prevedono l’elezione popolare dei rappresentanti istituzionali ma solo e soltanto la ratifica delle decisioni assunte dal capo partito. E così è stato anche il 25 settembre scorso dove il capo partito ha scelto o il suo “cerchio magico” o i suoi “cortigiani”. Con grave danno per la qualità democratica delle stesse istituzioni perché, come diceva già tanti anni fa Carlo Donat-Cattin, “per capire cosa pensa un partito dell’assetto delle istituzioni è appena sufficiente verificare come quel partito pratica la democrazia al suo interno”. Una frase che conserva, nel tempo, una straordinaria attualità e modernità.

Per questi motivi è giunto il momento di invertire la rotta. E subito, senza ulteriori tentennamenti e rallentamenti. Per il bene e per la credibilità della nostra democrazia.

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