Le correnti tra Dc e Pd

Le correnti e il loro ruolo hanno dominato il dibattito politico nella prima come nella Seconda Repubblica. È indubbio che quando si parla di correnti si pensa immediatamente a due partiti: alla Dc per il passato e al Pd per il presente. Ora, prima di fare una opportuna e doverosa distinzione tra l’organizzazione concreta di questi due partiti, credo sia importante ricordare che quando un partito è fondato sulle correnti, difficilmente se ne può sbarazzarsene. E questo sia quando parliamo delle grandi correnti politiche, culturali e sociali democristiane, sia quando citiamo gli infiniti gruppi che scorrazzano a livello locale e a livello nazionale nel Pd.

Ora, tutti sanno che le attuali correnti del Pd, al di là dei pronunciamenti pubblici, sono strumenti utili ed indispensabili per la spartizione delle candidature e la mera composizione degli organi. Il tutto, come ovvio, attraverso un sistema elettorale che prevede appunto la “nomina” e non “l’elezione” dei deputati e dei senatori. Nulla a che vedere, quindi, con le correnti vissute ed interpretate come strumenti di elaborazione politica e culturale e come legittima rappresentanza di interessi sociali e territoriali. Si tratta, cioè, di gruppi interni che si raccolgono attorno ad un capo corrente e che, di fatto, bloccano ogni dibattito e ingessano la stessa organizzazione del partito. È persin inutile ricordare che, in un partito siffatto, il legittimo e fisiologico confronto politico interno che caratterizza ogni partito è sospeso perché ogni decisione è riconducibile all’accordo preventivo, secco e blindato, tra i molteplici capi corrente.

Comunque sia, si tratta di un meccanismo ormai strutturale all’interno del Pd e ogni pronunciamento pubblico che sottolinea l’impegno a superare questo meccanismo è un puro e semplice esercizio di ipocrisia perché ognuno parla a titolo esclusivo della propria corrente. È un partito, quindi, irriformabile perché l’intera organizzazione, a livello locale come a livello nazionale, ruota attorno a queste inamovibili correnti e al loro potere nel partito.

Ora, quando si parla su vari organi di informazione e nei vari talk televisivi di questi temi, persiste uno strano confronto e un singolare parallelismo con la vecchia ed antica organizzazione della Democrazia Cristiana. Un partito che era, anch’esso, articolato sulle correnti e su un profondo e riconosciuto pluralismo culturale interno. Ma con una profonda ed irriducibile diversità che molti osservatori e commentatori fingono di non sapere o di dimenticare. Ossia, le correnti della Democrazia Cristiana erano strumenti e luoghi concreti di continua elaborazione culturale e politica, oppure interpreti di precisi interessi sociali o espressione di aree territoriali. Si trattava, cioè, di luoghi politici per eccellenza. Certo, anche in quel partito esistevano deviazioni ed eccezioni, a livello locale come a livello nazionale, ma il tutto non si poteva ridurre sempre e solo a bande interne o ad aggregazioni estemporanee legate esclusivamente alla distribuzione del potere nel partito e nelle istituzioni.

Se dovessimo ricordare, tanto per fare un solo esempio, le correnti della sinistra democristiana – penso a quella della “sinistra sociale” di Carlo Donat-Cattin o alla “sinistra politica” di Ciriaco De Mita, Giovanni Galloni e Mino Martinazzoli – dovremmo arrivare alla conclusione che, quasi quasi, erano organizzazioni di partito all’interno del partito di riferimento, cioè la Dc. Si trattava, infatti, di correnti che organizzavano convegni a livello nazionale, che avevano riviste politiche e culturali, che apprestavano corsi di formazione dei quadri dirigenti con dibattiti settimanali nelle varie realtà periferiche e, soprattutto, con una politica che non si poteva ridurre solo a rapporti di forza. La corrente sociale di Donat-Cattin non ha mai raggiunto il 10% dei consensi interni al partito nella sua lunga storia – a Torino come a Roma – ma la sua presenza nella Dc, come ha ricordato più volte lo stesso Aldo Moro, era fondamentale per garantire e consolidare quel ruolo popolare e sociale di un grande partito interclassista com’era la Democrazia Cristiana. Le correnti della Dc, quindi, contavano in quanto rappresentavano pezzi di società con ricette politiche e analisi culturali che riflettevano la complessità e l’articolazione pluralistica del nostro paese.

Ecco perché quando si fanno confronti tra l’organizzazione tradizionale della Dc e l’attuale assetto del Pd si compie un profondo errore. La Dc, anche grazie alle sue correnti, ha governato il nostro Paese per quasi 50 anni – perché, come dice giustamente Guido Bodrato, “la storia della Dc è la storia delle sue correnti” –mentre il Pd, con le sue molteplici correnti e gruppi interni, rischia di deflagrare definitivamente in quanto si tratta solo di semplici luoghi per garantire il potere e l’elezione della nomenklatura con i rispettivi cortigiani e cerchi magici.

print_icon