GRANA PADANA

"Calderoliani" e amici di Molinari, Salvini non (con)vince in Piemonte

Il vento del Nord soffia sul malcontento. La batosta del 25 settembre allunga le ombre sulle Regionali del 2024. Dai primi congressi provinciali la leadership del Capitano è più che appannata. Prevalgono logiche e appartenenze locali. E anche il "Mol"...

E pensare che gliel’avevano consigliato in tanti: “Riccardo, rafforzati come capo del partito piemontese, è la tua polizza sulla vita”. Ma lui facendo orecchie da mercante si è tenuto quanto più possibile lontano dalle beghe interne, lasciando che sui territori agissero indisturbati i cacicchi locali in una sorta di “patto federativo” sigillato dal suo ruolo di primus inter pares, la cui supremazia discende anzitutto dal grado di prossimità con la leadership nazionale. Del resto, è stata proprio l’intesa tra i principali “provinciali” a consentire, poco meno di sei anni fa, al trentaduenne Riccardo Molinari di diventare segretario della Lega (all’epoca ancora Nord) del Piemonte battendo con uno scarto di un centinaio di voti Gianna Gancia nell’ultimo “vero” congresso. E divide et impera è stato un po’ lo stile e il tratto della sua conduzione del partito: una situazione più subita che scelta in modo deliberato, ma in ogni caso assecondata (quando non addirittura fomentata). Salvo rare e sporadiche occasioni, nelle quali il livello di tensione rischiava di superare la soglia critica, Molinari ha lasciato fare anche a costo di mostrare un palese disinteresse all’azione politica del Carroccio nelle diverse realtà, per non dire del disimpegno nella selezione del ceto dirigente ed elettivo, accontentandosi di promuovere una piccola corte di giannizzeri di provata fiducia (e di dubbia qualità). Da “fedelissimo” di Matteo Salvini ha acquisito potere e autorità, toccando l’apice con la carica di capogruppo alla Camera; da luogotenente in terra allobroga del Capitano ha spartito tra la ciurma incarichi e prebende. Sarebbe ingeneroso sostenere che la stella Molinari brilli di luce riflessa, ma è inconfutabile che debba molto della sua recente e brillante carriera all’investitura ricevuta dal leader.

Tutto questo finora. Fino al momento in cui la prospettiva di sedersi sullo scranno più alto di Montecitorio è naufragata per la volontà di Salvini che, all’ultimo e quando tutto sembrava fatto, gli ha preferito Lorenzo Fontana e per giunta a Molinari pare che la decisione non sia stata neppure comunicata personalmente dal Capo. “L’ha presa male, ovviamente”, confermano più fonti della stretta cerchia del politico alessandrino. Un colpo basso, peraltro arrivato dopo settimane in cui, complici le trattative per la formazione della compagine di governo, i rapporti si erano diradati. “In verità in quei giorni era impossibile per chiunque parlare con Matteo”, confida un parlamentare mentre racconta di come sia riuscito, vincendo l’ostracismo “verso noi piemontesi” e “grazie a Riccardo”, a strappare un incarico. Di certo, un voltafaccia, quello di Salvini, che non può non aver inciso su un rapporto ultradecennale, iniziato ai tempi dei Giovani Padani. E che, inevitabilmente, segna – assieme a un crescente disagio politico – la fine della relazione simbiotica tra i due. Se e quanto il “disincanto” si tradurrà in presa di distanza e nell’avvio di una fase di emancipazione lo si vedrà prossimamente, quando le contraddizioni interne alla Lega esploderanno, costringendo anche Molinari a esporsi. Per ora evita di infilarsi nel groviglio lombardo-veneto e si limita a ripetere, con scarsa convinzione, la tiritera ufficiale sul valore dell’unità e blablabla. “In privato qualche critica ha iniziato a esprimerla, seppur con molta prudenza”, rivelano dall’inner circle. E, infatti, il “Mol” ha iniziato a guardarsi attorno, riallacciando relazioni accantonate e fino a ieri giudicate inopportune, di Salvini non parla male – ci mancherebbe! – semplicemente non ne parla o ne parla il meno possibile. E comunque con assai meno trasporto di un tempo: “Si è rotto l’incantesimo, anche per lui”, confermano.

Insomma, nessuna dissociazione pubblica ma qualcosa è cambiato. Eccome. Anzitutto, come si è visto nella gestione dei primi congressi provinciali, serrando i ranghi senza troppo badare al pedigree salviniano dei candidati segretari. E così a Cuneo la scelta è caduta su Giorgio Maria Bergesio, senatore al secondo mandato ma soprattutto palafreniere di Roberto Calderoli che, non a caso, sabato scorso ha voluto presenziare ai lavori congressuali, e “calderoliani” si autodefiniscono gran parte dei membri del nuovo direttivo, molti dei quali non propriamente intimi di Molinari (come il consigliere regionali Paolo Demarchi, l'ex Federico Gregorio e il sindaco di Fossano Dario Tallone). A Salvini, intervenuto in collegamento telefonico, è stata riservata un’accoglienza poco più che formale, applausi di circostanza alle sue parole sugli impegni “che manterremo” su autonomia e infrastrutture. Persino Alessandro Giglio Vigna, “molinariano” di ferro, neo presidente per grazia ricevuta della Commissione sull’Ue di Montecitorio, spedito dal segretario regionale a presiedere le assise, non si è spellato le mani com’è solito fare. Non è un mistero che Molinari abbia tentato di imporre alla guida del partito della Granda Flavio Gastaldi, altro dei suoi accoliti non rieletto alla Camera, trovando però una netta opposizione del ministro. Gastaldi, in abito da lavoro (di mestiere fa l’elettricista), si è affacciato nella sala del ristorante “Giardino dei Tigli” a Fossano solo lo stretto necessario per votare.

Fedeltà a generici “vertici” del partito è stata promessa da Lino Pettazzi, eletto segretario provinciale di Alessandria, feudo incontrastato di Molinari che, infatti, per sostituire Daniele Poggio, incompatibile per statuto con la carica di consigliere regionale, ha assoldato il sindaco di Fubine, deputato nella scorsa legislatura. Un congresso senza sorprese – “e senza cuore”, aggiunge uno dei delegati – dove espletate le incombenze burocratiche ci si è concentrati sullo scambio di auguri. “C'è molto da lavorare. Dobbiamo cercare di riportare il partito a una percentuale che merita – ha però ammesso il neo segretario –. Abbiamo tanti obiettivi: il più importante riportare tanti sindaci che hanno sempre simpatizzato verso di noi a tesserarsi. Coinvolgimento soprattutto dei giovani, ma di tutti i militanti affinché siano più attivi nelle proposte che arriveranno anche dai nostri vertici. Dobbiamo seguire la linea del partito”. Certo, anzitutto quella di Molinari.

La prima tornata congressuale si concluderà questo fine settimana con Torino dove i giochi sono fatti: sarà Elena Maccanti a ricevere il testimone da Alessandro Benvenuto. Una veterana dei Palazzi, una leghista di lungo corso che ha iniziato a muovere i suoi passi ai tempi di Gipo Farassino, passando indenne e sempre assicurandosi la poltrona (in Regione o in Parlamento) ogni stagione: persino nel travagliato dopo Bossi la “rivoluzione delle scope” l’ha portata addirittura in via Bellerio, vicesegretaria federale di Roberto Maroni. Insomma, oggi è salviniana esattamente come fu un passato bossiana e maroniana. Meno, assai meno, “molinariana” anche se con il suo capogruppo ha trovato una quadra per assicurarsi quel livello minimo di consenso da non impensierirlo e, soprattutto, tenendo a bada i tanti “galletti” della Mole, dall’assessore regionale Fabrizio Ricca al presidente di Palazzo Lascaris Stefano Allasia.

Nel Piemonte leghista, immune dai furori autonomisti lombardo-veneti, il vento nordista soffia però sul malcontento, che è molto più diffuso di quanto propaganda e pubblicistica superficiale vogliano far credere. La batosta del 25 settembre è un segnale d’allarme per quanto potrà accadere tra un anno quando toccherà rinnovare la Regione. Con queste cifre tre quarti degli attuali eletti tornerà a casa e assieme a loro la pletora di collaboratori, assistenti, addetti e segretarie: in gran parte dirigenti locali e a loro volta eletti in piccole realtà. Insomma, un sistema di potere e di piccole convenienze personali che rischia di sgretolarsi. E se Matteo non vince non convince. Per questo, quel “tutti salviniani” significa “nessun salviniano”.

print_icon