SANITÀ

Medici stranieri reclutati dalle coop.
"Ora li ingaggino anche le Regioni" 

L'ostacolo della cittadinanza e altri laccioli burocratici impediscono le assunzioni dirette. Così fiorisce il mercato di chi li invia a caro prezzo alle Asl e crea dumping salariale. Aodi (Amsi): "Urgente una riforma che apra a bandi e concorsi pubblici"

“Adesso, per cercare di risolvere il problema della carenza di medici, si cercano professionisti all’estero, ma per troppo tempo c’è stato un atteggiamento di chiusura con ostacoli anche per i medici stranieri che sono in Italia da anni. Ostacoli che permangono ancora e rendono tutto più difficile, ancor più in una situazione di emergenza come quella attuale”. Foad Aodi, fisiatra, laureato all’Università di Roma, docente alla Sapienza, palestinese nato in Israele, presiede l’Associazione medici di origine straniera (Amsi) che opera nel nostro Paese dal 2000 ed è, mai come in questo periodo, collettore di richieste e osservatorio privilegiato di un mondo – quello dei camici bianchi che arrivano da vari Paesi del mondo – cui si guarda come possibile parziale soluzione alla insufficienza di professionisti negli ospedali. Soprattutto nei Pronto Soccorsi, ma anche sul territorio.

“Quando si parla di medici stranieri, come risorse per colmare le carenze, bisogna guardare all’estero, ma anche in Italia perché c’è un dato che spiega scelte sbagliate o non fatte ormai da anni nonostante le nostre richieste”, spiega Aodi allo Spiffero. E fornisce un numero eloquente: su 77.500 operatori sanitari di origine straniera, di cui 22mila medici, 38mila infermieri e altre figure, oltre il 65% non ha la cittadinanza italiana e quindi vede preclusi i concorsi pubblici, salvo rari casi in cui le Regioni hanno derogato a questa norma. “La nostra prima richiesta di eliminare questo limite, aprendo i concorsi a chi lavora in Italia regolarmente da cinque anni è iscritto all’Ordine e conosce bene la lingua, risale ormai a otto anni fa, quando la situazione non era drammatica come oggi. Questa richiesta l’abbiamo appena rinnovata al nuovo ministro Orazio Schillaci”.

Oggi oltre la metà dei medici stranieri, quelli non cittadini italiani, trova sbocco solo nella sanità privata, dove tuttavia se non esiste l’ostacolo della cittadinanza c’è da fare i conti con altre questioni burocratiche. Per l’assunzione serve il permesso di soggiorno che viene rilasciato solo se si ha un lavoro e questo, come osserva Aodi, “vale ancor più nel pubblico. Una situazione paradossale che se in parte oggi è superabile applicando alcune deroghe previste da uno dei decreti varati in piena emergenza Covid per i contratti a tempo determinato, richiede una rapida riforma strutturale”.

Per ora, invece, si procede con il più classico degli approcci emergenziali e il reclutamento dei medici in altri Paesi – soprattutto quelli del Sud America, dell’Asia e di alcune aree dell’Est Europa, visto che gran parte delle nazioni europee ha lo stesso problema dell’Italia – viene lasciato alle cooperative. Il caso della Calabria che ha ingaggiato direttamente medici da Cuba (Paese che aveva inviato i suoi sanitari in Piemonte nelle fasi più critiche della pandemia) resta isolato o quasi.

In Piemonte, come abbiamo riferito nei giorni scorsi, alcune coop hanno chiesto lumi alle Asl per consentire l’impiego di professionisti argentini e ciò non può che essere la conferma di una situazione in cui si procede diversamente da come indica, invece, proprio chi rappresenta i medici stranieri. “Premesso che noi riteniamo che ci si debba rivolgere a Paesi che abbiano l’albo professionale e i cui professionisti conoscano bene la lingua italiana, come associazioni – aggiunge Aodi – collaboriamo con alcune Regioni, come Lazio e Sicilia, ma con le cooperative glielo dico chiaramente non abbiamo nessun tipo di rapporto. La nostra collaborazione la diamo, segnalando i medici e i contatti, direttamente alle strutture sanitarie delle Regione o alle cliniche private, se ce lo chiedono”.

Su quella che altro non è che un’intermediazione fornita dalla coop, a prezzi sempre più alti per le casse della sanità regionale, il rappresentante dei camici bianchi esteri ha una posizione netta: “Trovo profondamente sbagliato avere medici che guadagnano in tre o quattro giorni quel che i colleghi dipendenti guadagnano in un mese. Ecco perché bisogna favorire le assunzioni di professionisti dall’estero, anziché pagarli a gettone senza avere la sicurezza che chi lavora in ospedale conosca bene la lingua e le leggi del nostro Paese”, spiega ricordando il suo arrivo in Italia nel 1982: “In Israele c’era il numero chiuso, per cui ho scelto di venire a laurearmi qui. Ho imparato l’italiano a Siena frequentando il corso di lingua italiana presso l’università, poi mi sono laureato alla Sapienza, dove sono poi tornato a insegnare”.

Dunque, se le cooperative reclutano medici all’estero perché non possono farlo le Regioni, come peraltro insegna l’esempio calabrese? In Piemonte sembra si stiano avviando contatti con l’Albania e altri Paesi dell’Est, ma in corso Regina si sarebbe solo all’inizio. “La strada è quella”, sostiene Aodi. “Noi abbiamo ogni giorno segnalazioni di disponibilità da moltissimi Paesi, soprattutto dal Sud America dove peraltro non sono pochi i professionisti che hanno già la cittadinanza italiana. Servono bandi con manifestazione di interesse da parte delle Regioni e una normativa meno restrittiva per i concorsi. Solo così si cura la malattia della sanità, con i medici a gettone al massimo si curano i sintomi”.

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