LA SACRA FAMIGLIA

L'Avvocato delle cause perse

Un mito sfatato dalla realtà. Agnelli ha avuto certo tanti meriti ma ha lasciato una Fiat decotta ed è stato anche il protagonista indiscusso della più grande evasione fiscale che si sia mai registrata in Italia. Un anniversario controcorrente - di GIGI MONCALVO

In questi vent’anni Gianni Agnelli avrebbe avuto mille buone ragioni per rivoltarsi nella tomba per quello che molti dei suoi discendenti hanno combinato. I più, ascoltando i racconti di tutti coloro che lo hanno raggiunto nel frattempo: primi fra tutti, suo fratello Umberto, l’avvocato Vittorio Chiusano, Carlo Caracciolo, Giampiero Boniperti, Gianluigi Gabetti, Cesare Romiti. Ma, in particolare Sergio Marchionne, Donna Marella e la molto amata e “impossibile” Domietta Del Drago. Ah, che romanzo si potrebbe scrivere su questi incontri nell’alto dei cieli, specie quello con l’ingegnere svizzero-canadese cui – testuali parole di Gabetti pronunciate davanti all’intera “royal family” dopo la morte dell’Avvocato – fu affidata una Fiat “decotta” a causa di una persona “che lei ha avuto la fortuna di non conoscere…”. Come se Marchionne godesse del privilegio di non essere stato “infettato” da Gianni?

In questo anniversario della morte di Gianni Agnelli i suoi rivoltamenti nella tomba sono resi ancor più difficili dalla immensa colata di saliva che sta avvolgendo l’augusto sepolcro esondando da giornali e tv per la maggior parte disinteressati all’informazione e alla verità, ma preoccupati solo di non infastidire il nipote John Elkann e di scodinzolare davanti a lui. C’è da essere comprensivi. Oltre a non volersi inimicare il “nuovo padrone”, coloro che hanno contribuito per anni a creare “il mito” – tutti presi solo nel descrivere l’orologio sopra il polsino e la cravatta fuori dal pullover – come possono oggi fare autocritica ammettendo di avere in gran parte sbagliato e di non aver mai scritto che oltre alle luci c’erano, ahimè, anche tantissime ombre?

L’auto-censura, l’omissione più grave, in queste ore, è dimostrata dalla rimozione e dal silenzio su di un fatto incontrovertibile e ormai ampiamente documentato: l’Avvocato ha avuto certo tanti meriti ma è stato anche il primatista e il protagonista indiscusso della più grande evasione fiscale che si sia mai registrata in Italia. Con l’aggiunta, o l’aggravante, di essersi distinto in una pratica assai deprecabile e che ha avuto molti proseliti, riassumibile così: da una parte per anni ha intascato cifre immense di denaro pubblico sotto varie forme (leggi ad hoc, privilegi e contribuzioni a fondo perduto, detassazioni, incentivi, agevolazioni, politiche industriali di favore, l’Alfa Romeo in regalo da Prodi, gli ostacoli alla concorrenza italiana e straniera, sfruttamento dell’indotto, e quant’altro), mentre dall’altra parte portava tutto questo denaro all’estero senza nemmeno pagare, almeno in minima parte, le tasse e senza re-investirlo nel nostro paese creando occupazione. In sintesi: gli italiani hanno pagato i debiti, mentre Agnelli si è imbertato i profitti.

Il mito dell’Avvocato (“Manitu”, come lo chiamavano alcuni, cioè la forza superiore che tutto può) costruito in anni e anni di leccac…smo giornalistico è stato distrutto in modo inatteso, rapidamente e rovinosamente, in virtù di una terribile nemesi, una sorta di giustizia compensativa postuma che è sembrata riparare o vendicare quanto accaduto ai danni dei cittadini e di una nazione. Questa “punizione” o vendetta, che ha avuto un carattere di ineluttabile fatalità, è stata messa in atto nientemeno che dalla figlia dell’Avvocato, Margherita, che ha voluto ribellarsi fragorosamente e clamorosamente, come discendente e come donna a una delle regole più crudeli della Famiglia: “A comandare deve essere uno solo alla volta. E non deve mai trattarsi di una donna. Esse non devono avere alcun potere, le loro quote vanno liquidate in denaro”. Gianni non avrebbe mai potuto immaginare che proprio sua figlia, considerata – dal punto di vista delle conoscenze finanziarie – alla stregua di “una povera casalinga svizzera”, avrebbe impugnato il piccone per distruggere metaforicamente la sua figura e offuscare il suo ricordo. Ma non ha calcolato quale dose di veleno possa provocare la scoperta di essere stata “derubata” di parecchi miliardi, quelli appunto che le toccavano per l’eredità. Con l’aggravante che Margherita, che continua strenuamente la sua battaglia, non avrebbe mai immaginato che anche sua madre e suo figlio John impugnassero il coltello e la colpissero ripetutamente alla schiena. Ampiamente ripagati. Quando Margherita ha aperto le ostilità, rivolgendosi nel 2007 al Tribunale di Torino per chiedere il rendiconto dei beni di suo padre, il mito di Gianni ha cominciato a vacillare. E, da quel momento, sono emersi gli scheletri dall’armadio. Ma, nemmeno di fronte alle prove e ai documenti, i turibolanti giornalisti, a parte rare eccezioni, si sono incuriositi, sono andati a scavare, hanno aperto gli occhi. Anzi, piuttosto che cominciare finalmente a informare, si sono solo impegnati nel puntare il dito contro chi faceva il proprio dovere. Ecco perché oggi, a molti anni di distanza, quella perdurante omertà, quella complicità, quel colpevole silenzio, è ancora più esecrabile e colpevole.  

Il defunto aveva una grande ed eccelsa qualità a livello mondiale: il potere di condizionamento che la sua sola figura determinava in ogni campo, dalla finanza alla politica, dallo sport alla comunicazione. Il solo venire meno della sua presenza ha determinato pesanti sconquassi. Per di più aggravati e moltiplicati dall’insipienza, dalla presunzione, dalla certezza di impunità che i discendenti credevano di avere per il solo fatto di portare quel cognome (dimenticando che Elkann si scrive e si chiama Elkann e non si scriverà mai Agnelli…). Ad esempio, se Gianni fosse rimasto in vita i Moratti, i Galliani o i Carraro quando mai avrebbero avuto il coraggio di far scoppiare “Calciopoli”? D’accordo, poi fu John, con Grande Stevens, a mandare la Juventus in serie B ma chi avrebbe osato toccare Moggi e Giraudo prima della morte di Gianni e Umberto? Ora, con quello che ha combinato Andrea Agnelli sotto la supervisione e il “controllo” di John (che non poteva non sapere…), tutto è diventato ancora più facile per umiliare e cancellare la Juve. A parte la tragedia sportiva, che è solo all’inizio, chissà quanto è forte la rabbia dell’Avvocato e chissà come si diverte e, al tempo stesso, si dispera impotente nel vedere che è diventato presidente nientemeno colui che egli chiamava “il figlio del contabile”, buono tutt’al più a compilare le dichiarazioni dei redditi ella Famiglia…. Se fosse ancora vivo il dottor Giuseppe Bormida, l’uomo che si occupava di tutte le “minuzie” in casa-Agnelli, probabilmente John avrebbe affidato a lui la presidenza.

In questi vent’anni l’Avvocato ne ha viste tante da lassù, e su molti avvenimenti avrebbe preferito davvero chiudere gli occhi. La Ferrari che non vince più. La Fiat che non esiste più. L’Accomandita Giovanni Agnelli che non c’è più e ha sede ad Amsterdam. Torino che è stata cancellata. Le auto vendute prima agli americani e poi ai francesi (nonostante i suoi desideri contrari e nonostante gli ordini tassativi del nonno Giovanni senior, il Senatore). Lo stabilimento di Mirafiori non più glorioso ma inoperoso e polveroso che riapre per poco e solo per produrre mascherine fallate ordinate dal governo Conte. Il Corriere della Sera venduto (con Urbano Cairo padrone del vapore). La Stampa venduta da John addirittura al nemico numero 1, cioè Carlo Debenedetti (e poi ricomprata). La glorificazione di Sergio Marchionne. Il “tradimento” di Gabetti, che lo ha ignorato nel suo libro autobiografico “Never Give In”, e si è pubblicamente lamentato: “Ho dato tutto per lui e gli ho fatto guadagnare miliardi. Pensava di sdebitarsi regalandomi un Turner ogni Natale… Li ho buttati tutti in un angolo. Nella mia collezione c’è ben altro…”. Per non parlare del suo trust alla City Bank di New York che lo ha fatto ricco quasi quanto il suo ex principale). L’errore di essersi fidato troppo ciecamente di Franzo Grande Stevens (che ha esagerato come “esecutore testamentario” nominato da Gianni, parteggiando solo per una delle due eredi). Il fatto di non aver nascosto meglio di quanto non sia stato fatto la Alkyone di Vaduz, le società off-shore nelle Isole Vergini (che “perfino” Margherita è riuscita a scoprire), i conti alla Morgan Stanley di Zurigo. La sua adorata collezione d’arte andata dispersa (col l’Arlequin di Picasso appoggiato per terra nella casa di Roma insieme ai Balthus). Lo “scannatoio” di New York, quel duplex a Park Lane, così pieno di piacevoli ore trascorse con Barbara, ora è di un altro, è stato subito messo in vendita da Marella.

E poi, quanti dolori e ingratitudini a causa della famiglia. Non solo da parte di Margherita, ma perfino da Lapo per quel suo vizio imperdonabile di avere un debole per i trans così lontani dai gusti leggendari del nonno. John che consente agli americani della Hbo di fare un docu-film di due ore da cui emerge la figura di un nonno dedito soprattutto alla coca e alle belle donne. Mentre invece Gianni deve essersi divertito quando Ginevra Elkann, nel suo film “Magari” ha fatto interpretare nientemeno che da Riccardo Scamarcio il ruolo di Alain Elkann (“Gli ebrei sono tutti intelligenti. Non capisco come abbia fatto mia figlia a sposare l’unico c…”, raccontava Giuliano Soria al Premio Ginzane Cavour attribuendo la frase all’Avvocato). Qualche risata è arrivata lassù leggendo come sono stati scoperti i figli segreti di Carlo Caracciolo, come Giacaranda Falck si stia pappando tutto e come l’Espresso sia finito. Mentre Montezemolo continua a non fare nulla per smentire la barzelletta di essere figlio di Gianni. E Jas Gawronski dopo tanti anni non ha ancora capito che quella ragazza che accompagnò alla Leopolda non era la fidanzata di lui, ma semplicemente stava facendo da chauffeur a una bellezza richiesta da Gianni.

Uno dei pochi che si è comportato bene è Lupo Rattazzi, il figlio di Suni. Ma Gianni questo lo sapeva e glielo disse personalmente dopo un intervento nella Assemblea della Gianni Agnelli Sapaz del 2001 riguardo all’acquisto di Fiat Privilegiate parte del Gruppo Ifi-Ifil. E poi Lupo ha sempre detto la cosa più importante: Edoardo non fu affatto “estromesso” dalla Dicembre. Un giorno  chiamò Lupo al telefono e gli disse: “Mi sono rifiutato di firmare l’atto di donazione della mia quota di Dicembre perché non ci vedo chiaro”. Lupo gli rispose: “Sei pazzo, hai fatto malissimo”. Andò proprio così, nessuna “estromissione”. Lupo ha detto recentemente un’altra verità: “Se la Fiat fosse fallita oppure, rectius, fosse passata di mano a due lire, Margherita non avrebbe intentato alcuna causa e ci avrebbe guardato compiaciuta dal suo lago soddisfatta di essersi salvata dall’ultimo caso di disastro di famiglia imprenditoriale arrivata a fine corsa per manifesta incapacità. Mi confessò che era certa che Fiat avrebbe fatto la fine della Parmalat. Poi arrivò il Messia e grazie a lui Margherita scopre qualche anno dopo che, avendo venduto il suo 37,5% della Dicembre a 105 milioni nel 2003 (che era quello che valeva, si badi bene), aveva lasciato sul tavolo qualcosa come 700 milioni. Sette volte tanto. Sta tutta li la nuova causa e il disconoscimento dell’accordo svizzero”. Lupo ha ragione, specie quando sostiene che “l’educazione, se così la vogliamo chiamare, impartita dai loro genitori abbia influito su comportamenti così “dysfunctional” come quelli di Edoardo e Margherita”.

L’Avvocato da lassù ha assistito a tante vicende che certo gli hanno provocato dolore, sconforto, rabbia e dispetto. Nel luogo in cui si trova non è ammesso dire: “Ma cosa diavolo (pardon, ndr) state combinando? Non hanno proprio imparato niente da me. Ah, se ci fossi ancora io…”. Poi, probabilmente, le buonanime di Marchionne prima e Gabetti poi gli hanno mostrato i conti aggiornati, e l’Avvocato, dopo aver fatto dare un’occhiata a San Pietro, non ha potuto fare a meno di commentare: “Però chi l’avrebbe mai detto che Jaky….”. 

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