GIUSTIZIA

Saluzzo polemizza con Nordio, ma dimentica il caso Sorbara

Il pg di Torino replica al ministro: "Non sono i magistrati a vedere la mafia dappertutto, è la mafia ad essere un po' ovunque". Eppure il guardasigilli aveva invitato a parlare anche degli errori. Come nella vicenda dell'ex consigliere regionale della Valle d'Aosta

«È stato detto che i magistrati vedrebbero la mafia dappertutto. Ecco, io penso che la questione vada esattamente ribaltata. È la mafia che, non dimentichiamo, “unicum” nel panorama internazionale, noi abbiamo esportato in tutto il mondo e, dove non è avvenuto, il modello “culturale” e metodologico delle nostre mafie è stato preso a modello per fenomeni criminali autoctoni, ad essere un po’ dovunque». Sceglie la ribalta dell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Corte d’appello del capoluogo piemontese, il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo, per rispondere a distanza al ministro della Giustizia Carlo Nordio, il quale in un recente intervento in Parlamento aveva evidenziato che «se siamo di fronte a una mafia che si è infiltrata dappertutto» questo vuol dire che «in questi ultimi 30 anni la lotta alla mafia è fallita». Il guardasigilli contestando all’ex procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, una visione «pan-mafiosa» aveva ribadito che non ha «mai inteso toccare minimamente le intercettazioni che riguardano terrorismo e mafia e quei reati che sono satelliti nei confronti di questi fenomeni perniciosi».

Una frecciata, quella lanciata dal capo delle procure piemontesi, che rischia però di non centrare il bersaglio, se non altro per il tempismo dell’affermazione che arriva a poche ore dall’assoluzione dell’ex consigliere regionale Marco Sorbara dall’accusa di concorso esterno in associazione di stampo mafioso nel processo Geenna sulla presenza della 'ndrangheta in Valle d’Aosta. La quinta sezione penale della Cassazione ha infatti respinto il ricorso, presentato proprio dalla Procura generale presso la Corte di appello di Torino, contro l’assoluzione pronunciata in appello perché il fatto non sussiste. Una sconfessione su tutta la linea visto che la Corte Suprema non ha semplicemente rigettato ma ha dichiarato inammissibile il ricorso, chiudendo definitivamente per Sorbara una vicenda lunga e dolorosa, dopo 909 giorni di custodia cautelare dei quali 8 mesi di carcere.

Saluzzo si trova così paradossalmente (e involontariamente) dar ragione a Nordio quando nel contestato intervento il ministro invitava «quando si parla di giustizia a parlare anche di errori giudiziari», facendo riferimento al caso dell’ex comandante dei Ros, il generale Mario Mori «la cui carriera è stata rovinata senza che nessuno abbia risarcito il danno».

E sebbene il titolare del dicastero di via Arenula abbia garantito che nulla cambierà per le intercettazioni nelle indagini che riguardano terrorismo e mafia (e i reati “spia” quali peculato, corruzione e altri legati al riciclaggio), il pg di Torino gli ha rivolto «accorato appello» perché si migliori, se necessario lo strumento, ma non lo si depotenzi. «Ho troppo rispetto signor Ministro per la sua lunga esperienza professionale per dover dire che le indagini molto spesso “si costruiscono” dal basso– ha osservato Saluzzo – perciò le rivolgiamo un accorato appello affinché, dando mostra di volersi fidare dei magistrati, intervenga là dove vi siano ancora spazi di miglioramento per un più rigoroso esame dei presupposti e della prosecuzione e per una migliore tutela del dato, anche per la preservazione della privacy. Altro no». «Si affaccia la possibilità che lo strumento venga depotenziato, se non, addirittura, ridotto ad un mero spunto investigativo. E che dovremmo fare? Ritornare ai pedinamenti, ai servizi notturni, alla speranza di testimoni volenterosi, all’analisi di carte, per retrocedere vistosamente nella efficacia di queste indagini; essere, così, perdenti nell’eterna “partita a guardie e ladri”, nella quale noi partiamo sempre da una posizione di estremo svantaggio rispetto a chi sa che cosa ha fatto, come occultarlo e come alterare le prove che lo collegano al fatto». E ancora: «La mia memoria mi riporta a quando si teorizzò lo stesso per i collaboratori di giustizia che ebbero così tanti avversari da far temere veramente che lo Stato potesse abbandonare quel formidabile cavallo di troia che per le mafie hanno rappresentato».

Senza entrare nel merito della «perniciosa deriva della nostra cultura investigativa, sempre più acriticamente e soprattutto esaustivamente incardinata sul mero risultato delle intercettazioni» stigmatizzato oggi sul Foglio dall’ex procuratore capo di Prato Piero Tony, Saluzzo mostra una visione dell’antimafia da “canone”, ferma a trent’anni fa, quella fondata sui “teoremi” che tanto piace al circo mediatico-giudiziario. «La mafia non è vinta, la si può vincere», ça va sans dire. «Dovremmo avere sempre più strumenti per poter effettuare indagini serie, penetranti e incisive nei confronti di quegli ambienti, poiché' essa si regge sulla catena criminale che, partendo da corruzioni, infedeltà, evasione fiscale, illeciti di natura penale economica, turbativa degli appalti, soggezione, sino alle minacce, alla intimidazione, rappresenta la spinta maggiormente criminogena nel nostro Paese, che già di suo, ha una forte vocazione alla illegalità», sentenzia Saluzzo.

Saluzzo non può eludere i problemi creati dall’abuso delle intercettazioni e dalla loro propalazione, non solo sul piano “etico” (la violazione della privacy in una democrazia non è cosa marginale, diciamo) ma anche sulla formazione “culturale” della magistratura in qualche misura diseducata alla ricerca delle prove. «Certo – ha detto ancora il pg di Torino – molti aspetti legati alla divulgazione, alla non sufficiente selezione di conversazioni irrilevanti (categoria, peraltro, molto fluida, perché va correlata al significato ed alla rilevanza per l’indagine, sia in chiave accusatoria che di difesa) o che riguardano terzi estranei, eccessiva protrazione delle operazioni, vanno regolamentati con maggior rigore e con la richiesta di una assunzione di responsabilità maggiore per i procuratori della Repubblica (detentori del dato) e giudici che si occupano delle attività specifiche». Che fare allora? Per Saluzzo non molto: «Un insufficiente “governo” di questi aspetti ed obblighi non può tradursi nella eliminazione del mezzo. Perché, così ragionando, si potrebbero eliminare altri mezzi di prova», ha osservato.

print_icon