Il declino delle Circoscrizioni

La classe politica che siede nei Consigli di Circoscrizione, e nelle sale comunali o regionali, si dice che sia lo specchio delle persone che la esprimono con il voto. Guardandola, osservando i pregi e i difetti degli eletti (insieme agli atti che promuovono e al loro modo di “vivere” le adunanze consiliari), si ha l’idea di una comunità inerte che si clona nelle istituzioni stesse.

Nei decenni scorsi era sempre molto interessante leggere le pagine della cronaca politica ospitate dai quotidiani torinesi. Gli articoli degli anni ’70 e ’80 descrivevano passione, scontri sui bilanci che duravano tutta la notte, sedute consiliari infinite e battaglie di ideali. Consigliere e consiglieri impeccabili si alzavano dagli scranni della Sala Rossa per leggere i testi di discorsi preparati con cura la sera prima, oppure per fare ineccepibili interventi a braccio. Nei quartieri volontari e lavoratori discutevano con slancio su come migliorare i loro rioni.

Un rigido formalismo disciplinava il dibattito politico nelle aule, ma c’era comunque spazio per imprevedibili slanci goliardici. Poteva quindi accadere che un compagno del gruppo consiliare comunale mescolasse i fogli del vicino di banco, colto in un attimo di distrazione, poco prima del suo intervento: le conseguenze della burla sono facilmente immaginabili.

Storiche le battaglie delle giunte Novelli per dotare di servizi le periferie, dagli asili ai centri aggregativi passando per quelli commerciali comunali; rassicurante il pensiero di un vicesindaco come Carpanini che trascorreva intere notti insieme alle pattuglie della polizia municipale, con il duplice scopo di avere un quadro preciso del loro lavoro nonché la perfetta visione dei problemi che affliggevano all’epoca la città.

Gli scandali di tanto in tanto ferivano Torino e poteva capitare che un commissario prefettizio dovesse sostituire il Sindaco a causa di improvvise dimissioni. Ad ogni modo, il decentramento era una conquista difesa da tutte le giunte e Torino, con il suo fardello di scelte non sempre fatte nel nome del popolo, sapeva comunque di poter contare su numerosi amministratori attenti sia nelle sedi dei quartieri (un tempo ben 23) che in piazza Palazzo di Città.

Oggi il quadro politico è decisamente cambiato. Candidarsi in Circoscrizione è nulla più che una semplice tappa vissuta nella speranza di una carriera decisamente più interessante. In Comune, invece, si può anche essere esclusivamente portatori di interessi di determinati settori o di ambienti imprenditoriali. Norme regolamentari hanno, nel tempo, ridotto gli spazi di movimento delle opposizioni, legando le mani di queste ultime con l’eliminazione del diritto all’ostruzionismo. In ultimo, con la nuova disciplina del decentramento entrata in vigore nel 2016 (e riformata nel 2021), le giunte delle Circoscrizioni sono state investite di rilevanza esterna assumendo così una sorta di pieni e assoluti poteri. Esecutivi dal piglio autoritario, Consigli svuotati di qualsiasi funzione utile al territorio e accentramento in capo al Comune di molte competenze prima circoscrizionali, sono elementi che conducono a una sola conclusione: il decentramento è morto e sepolto.

I “riformatori” delle istituzioni territoriali hanno ridotto gli spazi democratici nel nome dell’efficienza, trasformando al contempo i politici eletti in veri e propri burocrati. Mantenere viva la passione diventa un’impresa davvero difficile nelle assemblee elettive, se non impossibile. L’emergenza sanitaria, con l’avvio delle sedute consiliari online, ha reso ancor più sterile e freddo il dibattito, impedendo ulteriormente alle minoranze di essere incisive nel loro agire. Malgrado la mutata gestione dell’epidemia, in molte Circoscrizioni (non tutte) ancora proseguono le convocazioni web e il confronto tra i membri del Consiglio avviene di fatto per telefono, fuori dalla vista dei colleghi, e magari tra una faccenda di lavoro e un pisolino.

Insomma, essere eletti sembra in alcuni casi una fatica impossibile da reggere, una condanna, come dimostra la proposta avanzata recentemente da una lista circoscrizionale: convocare le sedute online negli orari corrispondenti alla pausa pranzo. Tra un tramezzino e un bicchiere d’acqua si affronta sicuramente meglio il dibattito politico, e al contempo si risparmia tempo (magari mentre con un occhio si seguono le estrazioni del Lotto) che è sempre prezioso.

I politici in molti casi (non sempre e non tutti) sembrano felici della mutazione che li ha ridotti a passacarte senza pena, della serie “devo farlo ma risparmio fatica e tensione”, eletti in una Torino dove diventa sempre più evidente l’abbandono di intere aree. Sovente costoro non vedono i giardini trascurati, con due soli sfalci all’anno, non vedono i rifiuti abbandonati a terra, così come non si accorgono delle case abusive che sorgono sulle sponde del Sangone e neppure dei folli rincari del teleriscaldamento. Il torpore che ha avvolto la politica impedisce di trovare una soluzione per chi patisce il freddo in strada oppure nei camper, di consentire una convivenza pacifica tra coloro che vivono in condomini con alloggi in parte occupati. Oramai non si interviene neppure quando il salotto della città (piazza San Carlo) e le sue piazze auliche diventano una sorta di accampamento nomade dedicato all’incetta delle elemosine, e il colonnato di Palazzo Carignano si trasforma un deposito di cianfrusaglie.

I problemi, se non si affrontano costruendo soluzioni di carattere sociale, o con la prevenzione, si complicano nel tempo e diventano irrisolvibili. Un intervento immediato, anche mediando i conflitti, è sempre più efficace rispetto all’accantonamento delle difficoltà in un angolo, nell’attesa che magari si risolvano da sole.

Distrazione e apatia, accentramento e sedute online descrivono la fine dell’epoca della passione e l’inizio di quella del post-Covid: gli anni dell’unanimismo (pensiero unico) a tutti i costi, e del tirare a campare.

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