Il Centro va rifondato

Con il decollo, finalmente, del progetto della “ricomposizione” dell’area Popolare nel nostro Paese forse si può irrobustire anche la prospettiva per rilanciare una “politica di centro”. Una iniziativa che coincide con l’ormai inconsistenza politica e progettuale della cultura popolare e cattolico popolare all’interno del Partito democratico e la difficoltà, almeno per il momento, ad avere una forte e visibile cittadinanza politica e culturale nel campo del centrodestra. Due elementi, questi, che quasi impongono un rinnovato protagonismo di un’area culturale e politica che nel nostro paese ha sempre giocato un ruolo decisivo in tutti i principali tornanti della stessa storia democratica italiana.

Ma il centro e, soprattutto “la politica di centro” oggi quantomai gettonata e richiesta, possono ripartire solo se chi si candida ad interpretare questo ruolo non è un partito personale o un grigio ed indistinto cartello elettorale. Serve, cioè, un partito di centro che sia anche e soprattutto culturalmente “plurale”. Una sorta, per dirla in termini più semplici e comprensibili, di “Margherita” 2.0. E l’organizzazione politica dei Popolari a livello locale e soprattutto a livello nazionale può rappresentare un contributo importante e di qualità in vista del raggiungimento di quell’obiettivo. Certo, oltre ai Popolari è indispensabile l’apporto di altre culture politiche: da quella liberaldemocratica a quella verde ambientalista, da quella socialista a quella tardo azionista. Ma l’unico elemento che va escluso in modo secco e pregiudiziale è che il centro si riduca ad essere una sorta di “partito liberale o di partito repubblicano di massa”. Di massa si fa per dire, come ovvio. Perché quello che conta è costruire un progetto politico credibile e realisticamente percorribile e il centro, al riguardo, non può che essere un luogo politico moderno, innovativo, autenticamente riformista e dinamico. Nulla a che vedere, quindi, con un centro consociativo, trasformista, opportunista ed immobile. E di praticare una credibile “politica di centro”, di conseguenza, lo si ricorda quasi quotidianamente su molti organi di informazione. E questo per la semplice ragione che nel nostro Paese si è sempre governato “dal” centro e “al” centro. Questo non significa, come ovvio, che ci sia sempre e solo un partito centrista che è titolato ad occupare quel ruolo e a declinare concretamente quella politica. Ma resta indubbio che anche i partiti populisti o con minor cultura di governo alle spalle, quando le condizioni politiche ed elettorali generali li chiamano a guidare il paese, sono costretti a fare i conti con la cosiddetta ed intramontabile “politica di centro”.

Per questi semplici motivi, e anche per contrastare un “bipolarismo selvaggio” che negli ultimi tempi assomiglia sempre di più alla sub cultura degli “opposti estremismi” che abbiamo tristemente conosciuto negli anni ‘70, è necessario rilanciare e consolidare il centro nel nostro Paese. E il contributo che può arrivare da una cultura come quella del cattolicesimo popolare e sociale può, al riguardo, essere importante se non addirittura decisivo. Ma tutto ciò, lo ripeto ancora una volta, non è compatibile con un partito “personale” guidato da un capo indiscusso ed inattaccabile. Da lì non potrà mai decollare né un partito di centro né, tantomeno, una vera e credibile “politica di centro”.

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