Popolari e Pd, esterni ed estranei

Tra le poche certezze – politiche, come ovvio – che accompagnano l’ormai lungo percorso congressuale del Partito democratico c’è quella che, comunque vada a finire, si chiude definitivamente una stagione politica. Una stagione che era coincisa con un partito che era e si definiva a “vocazione maggioritaria” e che, soprattutto, si caratterizzava come un partito “plurale”. Ovvero un partito che faceva dell’apporto e della visibilità di singole culture politiche un dato centrale e costitutivo per la costruzione dello stesso progetto politico.

Al riguardo, per farla breve, due sono le certezze granitiche che, invece, caratterizzeranno d’ora in poi il principale partito della sinistra italiana della storica ed antica filiera del Pci/Pds/Ds. Non cito il partito populista per eccellenza, i 5 stelle, perché sono e restano una “sinistra per caso”, per dirla con un noto politologo. E le due certezze sono la centralità del “dogma” laico delle primarie per eleggere il segretario nazionale da un lato, e l’obiettivo – sbandierato in modo persin ossessivo in questi ultimi mesi – di ricostruire, riscoprire, rilanciare e riattualizzare la cultura politica, l’esperienza e la storia della sinistra nel nostro Paese. Un obiettivo, aggiungiamo in molti, nobile ed importante perché non solo mette fine a molte contraddizioni che si aggirano all’interno di quel partito e che lo ha portato a collezionare una sequela di sconfitte e di umiliazioni elettorali. Ma anche perché, e finalmente, si potrà creare d’ora in poi, e soprattutto dopo il risultato del 25 settembre scorso, una vera e credibile democrazia dell’alternanza tra lo schieramento della sinistra – politica e populista – e la coalizione moderata e conservatrice del centrodestra.

Detto questo, e al di là della scelta delle primarie – che, comunque sia, rappresentano un vero e proprio esercizio democratico e di grande partecipazione popolare – è indubbio che il progetto politico che viene legittimamente perseguito chiude anche la fase del cosiddetto “partito plurale”. Certo, per ragioni burocratiche e protocollari si continua – se richiesti, come ovvio – a recitare la stanca litania che nel partito c’è spazio per tutti, di qualsiasi orientamento culturale e ideale siano. Ma è evidente anche ai sassi che nel processo di ricostruzione della sinistra – come hanno giustamente evidenziato i quattro candidati alla segreteria nazionale, oggi ridotti a due per esigenze statutarie – è la cultura riconducibile a quel campo che deve essere centrale, determinante ed essenziale ai fini di quel progetto. Non a caso, salvo alcuni sporadici momenti di incontro che, giustamente, non hanno avuto alcuna ricaduta mediatica e quindi politica, la cultura cattolico-popolare e cattolico-sociale è stata del tutto assente in questa lunga stagione congressuale del Pd.

E questo non solo perché tutti i candidati provenivano dalla storica filiera della sinistra italiana ma anche, e soprattutto, per la semplice ragione che la “mission” del partito, come si suol dire, è diventata un’altra. E il progetto politico del partito, come richiede giustamente e coerentemente la base di tutto quel partito, vuole e desidera finalmente un partito di sinistra. Che guardi e che declini una vera ed autentica politica di sinistra. E non a caso, la disputa – come emerge dalla valutazione di tutti i principali osservatori delle cose del Pd – per la segreteria nazionale avviene tra chi, come la Schlein, persegue l’obiettivo di costruire un grande “partito radicale di massa”, per dirla con Luca Ricolfi, e chi individua invece il futuro della sinistra in un solido e granitico partito post-comunista sul modello del partito della sinistra di potere del modello emiliano/romagnolo.

Ora, di grazia, cosa centri tutto ciò con i Popolari, i cattolici popolari e sociali, la storia e la cultura popolare resta, appunto, un mistero. Non religioso, ma squisitamente politico. E, non a caso, è cresciuta in modo esponenziale e progressivo in questi ultimi tempi – al netto, come ovvio, di quei popolari che restano giustamente nel Pd perché espressione degli organigrammi di partito e del ruolo di potere all’interno delle istituzioni locali, regionali e nazionali – la volontà di ridare un nuovo protagonismo ad un’area culturale che ormai è del tutto avulsa dal processo di ricostruire il pensiero e il ruolo della sinistra italiana nel nostro Paese.

È anche per questi motivi che sabato prossimo a Roma, all’Hotel Parco dei Principi, decolla il Movimento dei Popolari che vuole ricostruire una “politica di Centro” nel nostro paese. Un Movimento che è partito dal basso, dalle singole regioni, e che adesso lavora – anche se il cantiere è già iniziato da tempo – per una ricomposizione politica, culturale e soprattutto organizzativa di un’area, come quella popolare e cattolico sociale che era, è e resta del tutto estranea, esterna ed alternativa a quella della sinistra post, ex e tardo comunista. Estranea, cioè, alle molte sfumature di rosso che, giustamente, caratterizzerà il futuro del Pd.

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