Grandi opere e operette

Il Governo Meloni non delude le attese di coloro che considerano l’attuale esecutivo come la prosecuzione ideale di quello retto da Berlusconi nel 1994. All’epoca, l’imprenditore di Arcore era noto anche con l’appellativo (inventato dalla redazione del Manifesto) di “Cavaliere Nero”, assegnato in seguito alla sua scelta di acquisire nella coalizione il Movimento Sociale Italiano, organizzato da poco nella nuova formazione di Alleanza Nazionale. Grazie a Berlusconi, dopo quasi mezzo secolo di isolamento politico i postfascisti entravano a pieno titolo in una maggioranza parlamentare.

Il fondatore dell’impero televisivo privato, avviato con Canale 5, aveva formato un Consiglio dei ministri in cui sedevano alcuni ex militanti del Msi, ma non era questo l’unico elemento di “novità”. Il programma di insediamento in carica conteneva, infatti, un marcato accento anticomunista e prevedeva di fatto la demolizione dello Stato sociale. Riprendeva così lo smantellamento della Sanità pubblica, inaugurato con la riforma del 1992 che trasformava le Unità Sanitarie Locali (Usl) in Aziende Sanitarie Locali (Asl). Gli intenti del Governo prevedevano inoltre la vendita del patrimonio archivistico statale (per fortuna non realizzata) e la progettazione di un ponte utile a superare lo stretto di Messina in auto oppure in treno.

Silvio Berlusconi, oggi, si vede messo in un angolo dalla creatura politica che lui stesso ha creato, sdogandola nell’anno in cui decise di “scendere in campo”. Non solo le fila di Fratelli d’Italia traboccano di ex forzisti, ma tocca proprio al Cavaliere indossare le vesti di uomo politico moderato, specialmente quando si confronta con le scelte radicali dell’attuale premier, sua ex ministra. Sul tema “Guerra”, l’ex presidente del Consiglio, nonché fondatore di Forza Italia, assomiglia addirittura a un pacifista allineato perfettamente con gli appelli di papa Francesco (a cui purtroppo quasi nessuno dà retta).

Il sistema sanitario sarà forse l’istituzione pubblica che uscirà peggio da questa tornata legislativa, sia per la riforma fiscale che si annuncia a favore dei ricchi possidenti ed a totale svantaggio delle casse erariali, che per una visione privatistica dello Stato: oramai ridotto a semplice erogatore di contributi (al pari delle Circoscrizioni), ed utile solo per inviare soldati, insieme a gran quantità di armi, in giro per il mondo con la missione di tutelare gli interessi delle potenti lobby economico-finanziarie.

Nel 1978, anno in cui nacque il Servizio sanitario nazionale, venne istituito un sistema universale ed illimitato di cure, a sostituzione del farraginoso e variegato modello fatto di mutue e casse private. Arrivò poi il decentramento, con l’assegnazione del Servizio alle Regioni, e delle 695 Usl operanti nel 1983, oggi, rimangono un centinaio di sedi Asl. Il D.lgs. 502/1992, che per l’appunto istituì le Asl, è stato determinante nel taglio massiccio di posti letto, che sono scesi da 500.000 a meno della metà, mentre il Privato (un tempo escluso dal Sistema sanitario nazionale) acquisisce oggi oltre il 20% delle degenze.

La lenta, quanto inesorabile, distruzione dell’assistenza pubblica ha avuto il suo picco con la pandemia, ossia nei tre anni in cui le Regioni hanno chiuso l’accesso agli ospedali ampliando, al contempo, le convenzioni con le cliniche rette da imprenditori del settore. I cospicui fondi destinati dal Governo Conte II alla sanità non hanno minimamente acceso l’attenzione dei presidenti regionali, i quali si sono contraddistinti per non averne impegnato neppure un centesimo. Il terribile modello lombardo, quasi tutto esternalizzato, sembra destinato a diventare il modello italico.

Ci consoli che comunque i soldi raccolti dalle tasche dei lavoratori, secondo il nuovo sistema fiscale al varo del Governo, saranno spesi bene. A tal fine, riemerge prontamente uno dei vecchi cavalli di battaglia berlusconiani: il ponte sullo stresso di Messina. Un’opera unica al mondo, almeno sulla carta, e talmente coraggiosa a livello ingegneristico che forse rasenta l’impossibile. Se ne parla da decenni, e mai è stata dimostrata la fattibilità della struttura, anzi numerosi esperti manifestano dubbi e timori per il grave impatto ambientale che questa potrebbe comportare. Correnti marine molto forti, unite alla tensione sismica che caratterizza l’area geologica interessata, mettono il progetto tra i candidati al record del fallimento più costoso che ha mai affrontato il nostro Paese. 

Del resto, l’infinito cantiere del Tav in Val Susa non insegna nulla alla classe politica. Opere discutibili, nel rapporto costi-benefici, sono imposte a popolazioni la cui voce non viene minimamente ascoltata, anche se protestano da decenni, e un fiume di soldi pubblici evapora in progetti e lavori ciclopici senza fine, gravemente impattanti sull’ecosistema ambientale.

Del resto, la collocazione della Città della Salute di Torino è la perfetta sintesi del tutto: le Molinette passano da un sito in riva al Po, il cui stupendo panorama sostiene l’umore dei pazienti, a un trasloco verso l’estrema periferia cittadina, dove il cantiere è stato aperto grazie a un progetto che coinvolge attivamente gli imprenditori privati nella sua futura gestione. Sull’area dell’attuale ospedale, probabilmente, sarà invece possibile aprire una ghiotta speculazione immobiliare.

L’interesse pubblico attraversa un’epoca che porta indietro le lancette del tempo di almeno cento anni. Lo chiamano progresso, ma forse è solo una triste riproposizione dell’antico modello feudale: i potenti sulla collina e tutti gli altri ai loro piedi, costretti a chiedere un favore per assicurare la pagnotta ai propri figli.

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