Quella Dc così attuale

La Dc è stata un “fatto storico”, come ama dire – e giustamente – un grande leader democratico cristiano come Guido Bodrato, che lunedì prossimo compie 90 anni. Un “fatto storico” che, appunto, non è politicamente più replicabile perché si può collocare solo in quel particolare contesto storico, politico, culturale, sociale e, soprattutto, internazionale. Ma, al di là di questa oggettiva e sacrosanta considerazione, è pur vero che quella esperienza non si può cancellare del tutto. Salvo per i populisti dei 5 stelle che vedono nel passato solo un elemento da distruggere e, di conseguenza, da cancellare, almeno sotto il profilo politico e culturale. Perché ci sono almeno tre elementi decisivi che conservano, tutt’oggi, una bruciante attualità. Anche in un contesto politico e storico molto diverso rispetto a quello in cui la Dc era protagonista.

Innanzitutto, la qualità e l’autorevolezza della classe dirigente. Senza questi due tasselli è la stessa politica che entra in crisi e che diventa subalterna rispetto ad altri poteri e alle eterne lobby. E, non a caso, durante l’intera stagione della prima repubblica la politica “contava” perché chi la rappresentava era autorevole e riconosciuto come tale. I leader e gli statisti democristiani erano sicuramente contestati e attaccati duramente dalla sinistra dell’epoca – nello specifico dal Pci – ma erano riconosciuti e anche temuti non solo perché esercitavano il potere ma per la semplice ragione che rappresentavano realmente un pezzo società – maggioritario – ed erano espressione di una cultura politica che affondava le sue radici nel profondo della società. Oltre ad essere interlocutori autorevoli e qualificati rispetto a tutti gli altri poteri. Politici, culturali, sociali, economici, giudiziari, produttivi, editoriali e giornalistici.

In secondo luogo, come ho appena ricordato, i democratici cristiani erano portatori ed espressione di una cultura politica e, di conseguenza, avevano un “progetto di società”, come si usava dire nel passato. E in politica quando sei espressione di un filone di pensiero netto, definito e realmente percepito come tale, sei di per sé un soggetto riconosciuto dalla pubblica opinione intesa nella sua complessità. Una cultura, quella del cattolicesimo popolare e sociale, che non è affatto tramontata anche nella stagione contemporanea se è vero, com’è vero, che ogni qualvolta si pensa di dar vita ad un soggetto politico democratico, riformista e autenticamente di governo si continua a guardare a quella tradizione e a quel filone di pensiero. Certo, parlo di partiti che non sono né estremisti, né massimalisti e né populisti. Per quelle esperienze sono sufficienti le sub culture che, purtroppo, campeggiano ancora largamente nella politica nostrana.

In ultimo, ma non per ordine di importanza, la capacità di governare. Perché la “cultura di governo” non si inventa. È un po’ come il carisma, per dirla con Donat-Cattin. “O c’è o non c’è, è inutile darselo per decreto”, amava dire lo statista democristiano piemontese. E la “cultura di governo” è composta da svariati tasselli che compongono un intero mosaico. Il cosiddetto “metodo” che richiamavo all’inizio di questa riflessione. E cioè, cultura della mediazione, capacità di comporre interessi contrapposti, cultura della sintesi, rispetto delle istituzioni, strategia del confronto, dialogo con gli avversari che non sono nemici da annientare politicamente e da distruggere moralmente, prassi riformista e rifiuto della radicalizzazione del conflitto politico.

Ecco perché, se è vero che la Dc è stata “un fatto storico”, è altrettanto vero, come ripete spesso lo stesso Bodrato, uno degli ultimi grandi leader della Dc, proprio dalla esperienza di questo grande “partito nazionale” noi possiamo ancora trarre elementi di straordinaria attualità e modernità per affrontare i problemi e i nodi della stagione contemporanea.

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