Pasquaretta in aula, con orgoglio ho salvato il Salone Libro

"Ho contribuito con orgoglio" alla "salvezza" del Salone del Libro di Torino. Lo ha detto Luca Pasquaretta, all'epoca dei fatti portavoce della sindaca Chiara Appendino, interrogato al processo in cui, fra i capi d'accusa, compare quello di un presunto peculato per la consulenza prestata nella primavera del 2017 alla Fondazione per il Libro. Pasquaretta ha affermato che, a differenza di quanto sostiene la procura, la sua collaborazione fu effettiva e non fittizia, precisando che fra gli aspetti di cui si occupò ci fu "la percezione esterna, quella mediatica". "Era importante - ha spiegato - che a Torino vi fosse una narrazione positiva, che si creasse entusiasmo. L'orientamento di un giornale era importante: un articolo scritto male può portare delle problematiche. Ho supervisionato la parte della comunicazione della Fondazione ed è in questa veste che interagivo con i giornalisti". Rispondendo alle domande del pm Gianfranco Colace, Pasquaretta ha detto che "capitava che dei giornalisti mi mandassero l'articolo" prima di consegnarlo alla redazione, e pure che "mi chiedevano se andava bene". Non ha fatto nomi, ha consegnato al tribunale gli scambi di email.

"Andai anche a Roma - ha sottolineato Pasquaretta - per ottenere dalla Rai la stessa copertura mediatica che era stata garantita per la manifestazione milanese". "Il Salone del Libro - ha raccontato l'ex portavoce - fu una delle prime criticità che si trovò ad affrontare la giunta Appendino dopo il suo insediamento. L'Aie (associazione italiana editori - ndr) aveva deciso di uscire dal Cda della Fondazione e di organizzare una fiera a Milano. La sindaca mi chiese di occuparmi del caso. Fu così che cominciai a interagire". "In quel periodo - ha continuato - c'era dell'insofferenza in merito al lavoro dell'addetto stampa della Fondazione. Sindaca e assessori mi chiesero di fare opera di supporto e di supervisione". A proposito della consulenza con la Fondazione (cinquemila euro, poi restituiti dopo l'apertura delle indagini) Pasquaretta, precisando che per l'incarico con l'amministrazione Appendino gli fruttava 42 mila euro all'anno, ha detto che "cercavo solo un riconoscimento economico per il lavoro che avevo svolto e continuavo a svolgere" e che "firmai le carte che mi erano state portate fidandomi della professionalità degli uffici". "La sindaca - ha riferito - mi ricordò che fra le varie battaglie del M5s c'era quella contro i doppi incarichi retribuiti. Gliene parlai e lei ribadì che l'orientamento politico del movimento non lo consentiva". Pasquaretta ha detto che l'anno seguente, quando il caso emerse, si scusò con Appendino dicendo che era pronto a dimettersi: "Lei disse che non era necessario, ma che se fosse successo ancora qualcosa del genere non avrebbe più potuto difendermi". "In seguito - ha aggiunto - sorsero dei contrasti non con la sindaca, con la quale avevo un rapporto di 'superstima reciproca', ma con il gruppo consiliare e alcuni assessori. La candidatura di Torino alle Olimpiadi fu l'ultima goccia: noi la volevamo fortemente, il movimento no. Mi resi conto che non avevo più niente in comune con i consiglieri. Compresi che non mi volevano più e che quella mia splendida esperienza doveva concludersi. Fu allora che cominciai a guardarmi intorno". 

 

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