POLITICA & GIUSTIZIA

Finanziamento illecito, l'accusa:
1 anno di reclusione per Emiliano

Al vaglio del tribunale di Torino le somme versate da due imprenditori alla Eggers di Pietro Dotti, la società che si era occupata della campagna elettorale del governatore della Puglia. La difesa: "Innocente. Confido nella giustizia"

La condanna a un anno di reclusione e a 90mila di multa è stata chiesta dalla pubblica accusa per Michele Emiliano, governatore della Puglia, processato a Torino per finanziamento illecito. Il pm Giovanni Caspani ha proposto la stessa pena per il suo ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, ora parlamentare Pd, e otto mesi per gli imprenditori Vito Ladisa e Giacomo Mescia. Al vaglio dei giudici vi sono le somme versate dai due imprenditori alla Eggers di Pietro Dotti, la società del Torinese che si era occupata della campagna elettorale di Emiliano. Per l’accusa si trattò di un finanziamento occulto.

«Forse in passato quando la sentivo pronunciare da altri commettevo l’errore di considerarla una frase fatta: ora dico che confido nella giustizia. Ho 63 anni e ho sempre cercato di comportarmi bene, sia nelle cose importanti che in quelle meno importanti», ha affermato Emiliano, concludendo la dichiarazione spontanea, che ha reso stamane al Palazzo Bruno Caccia. «Mi sono candidato molte volte – ha affermato il governatore pugliese – e ho sempre seguito una regola: a occuparsi della raccolta dei finanziamenti doveva essere l’associazione Piazze d’Italia, che era molto attenta a scegliere gli interlocutori. Per questo non ho mai incontrato nessuno e negoziato alcunché. C’era anche un limite nell’ammontare del finanziamento, una specie di codice etico sovrapposto alle previsioni della legge. La separazione fra l’indirizzo politico della campagna e i profili amministrativi fu netta anche in occasione delle primarie».

Emiliano ha ricordato che era scontento del lavoro svolto da Dotti “perché, senza dirci nulla, aveva riciclato lo stesso formato” della campagna elettorale di Debora Serracchiani in Friuli-Venezia Giulia. Quando l’imprenditore cominciò a sollecitare il pagamento della prestazione, arrivando a chiedere un decreto ingiuntivo, Emiliano discusse la situazione con i collaboratori: «Per me era importante non passare per uno che non paga, tanto più che la questione era finita sui giornali. Con Dotti non parlai: non avevo tempo e non volevo dirgli cosa ne pensavo. Ero talmente seccato che dissi ai collaboratori di sistemare la cosa: “se avete i soldi pagate, sennò ve li do io”. Loro risposero: “non preoccuparti, ce ne occupiamo noi”. Non sentii più parlare della questione fino a quando ricevetti un messaggio da Dotti: “Sistemato tutto”. Risposi solo “va bene”, sempre senza aggiungere quel che ne pensavo». «Il mio timore – ha aggiunto – è che di fronte a certi passaggi non chiari neppure a me possano sorgere dei dubbi. Ma sono eventi non ascrivibili a una mia responsabilità». «Mi spiace – ha concluso rivolgendosi al tribunale – avere impegnato tanti anni il sistema giudiziario, i magistrati di Bari e di Torino. L’unica consolazione che posso offrirvi è che ho sofferto quanto voi».

La storia comincia con la campagna elettorale del 2017 per le primarie del Pd. La questione nasce dopo versamenti per un totale di circa 63mila euro a una società torinese che si era occupata della comunicazione di Emiliano, la Eggers. Il denaro sarebbe stato versato dalle aziende di Ladisa e da un quarto imputato, l’imprenditore Giacomo Mescia. Stefanazzi ha raccontato che Emiliano, quando seppe che il titolare della Eggers, Pietro Dotti, sosteneva di non essere stato pagato «si arrabbiò moltissimo e ci disse di risolvere la cosa». L’allora capo di gabinetto ha aggiunto che dallo staff elettorale gli chiesero di «interpellare degli amici per fare fronte al pagamento dei ventimila euro» rivendicati da Dotti. «Io – ha detto ancora – pensai subito a Giacomo Mescia, un amico di cui avevo sempre apprezzato le doti di affidabilità e correttezza, che si disse disponibile. Poi non me ne occupai più». Il versamento alla Eggers da parte dell’azienda di Mescia, secondo Stefanazzi, sarebbe stato un finanziamento a titolo di “erogazione liberale”.  Il deputato ha anche bollato come false le ricostruzioni in base alle quali indicò Ladisa come il soggetto che avrebbe dovuto pagare la seconda parte del compenso richiesto da Dotti.

Ladisa ha dichiarato di non aver finanziato Emiliano, né direttamente né indirettamente. «Io e la mia azienda – ha spiegato – siamo estranei ai rapporti fra Eggers ed Emiliano. Quell’anno contattai il titolare della Eggers, Pietro Dotti, per una nostra campagna di comunicazione. Ci incontrammo alcune volte: lui svolse il lavoro, mi presentò il conto e pagai». Ladisa ha detto che Dotti gli parlò una sola volta del governatore pugliese, definendolo un cattivo pagatore. «Gli risposi – ha aggiunto – che delle questioni del governatore non mi interessavo. Io non frequento Emiliano. E nel 2017 neppure lo sostenni». Nel corso della sua dichiarazione spontanea, Ladisa ha infine fatto riferimento alla testimonianza resa da Dotti. Si è detto «basito». «Ho appreso – ha sottolineato – che ha detto che rinunciò ai suoi crediti verso Emiliano», dopo avere ricevuto i soldi dello stesso Ladisa. 

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