SACRO & PROFANO

Benedette coppie gay

La risoluzione del sinodo tedesco: prevale la prassi pastorale sulla dottrina. Come cambia il ruolo e la funzione sacerdotale. A Torino l'esumazione di don Cesare Bisognin, il 19enne ordinato in punto di morte dl card. Pellegrino. L'Olanda e l'eutanasia per i bambini

La quinta assemblea del sinodo cattolico tedesco tenutosi dal 9 all’11 marzo 2023 ha approvato un documento sulle celebrazioni di benedizione per le coppie omosessuali. Esso presenta vari aspetti di interesse non tanto per l’approdo finale – e cioè l’approvazione di un rito con il quale si arriva infine ad invocare la benedizione del Signore per i diversi tipi di unione – quanto per l’approccio che parte dal loro riconoscimento la cui richiesta «è ispirata alla gratitudine per l’amore vissuto e alla speranza di un futuro accompagnato da Dio» e tiene conto delle riflessioni dei vescovi fiamminghi e delle delibere dei sinodi anglicani al fine di «sviluppare e introdurre, in tempi brevi, adeguate forme liturgiche» rivolte persone risposate, omosessuali, sposate solo civilmente. Le benedizioni saranno impartite da operatori pastorali e guide spirituali. Con un avvertimento: «A nessuno viene imposto l’obbligo di guidare tali celebrazioni; al contrario nessun operatore pastorale che le presiede deve aspettarsi conseguenze disciplinari». Come alle coppie di innamorati viene esaudito il desiderio di una benedizione, lo stesso vale «per coppie di persone risposate civilmente che cercano faticosamente un nuovo inizio e una nuova relazione, così per le coppie che non si sentono ancora pronte per il sacramento del matrimonio».

Com’è noto, la Congregazione per la dottrina della fede aveva qualche tempo fa espresso con un Responsum parere negativo in merito alla benedizione delle coppie omosessuali ma ecco come argomenta l’assemblea tedesca: «Le numerose richieste su questo tema nell’ambito del Sinodo mondiale hanno  dimostrato che in molti luoghi la visione dell’omosessualità sulla base del Responsum non viene ritenuta adeguata» e quindi, «dal momento che, sul piano pratico, in molti luoghi la richiesta di benedizione vien accolta, occorre dunque uno sviluppo teologico». E per prevenire le obiezioni di chi nutre la preoccupazione che la Chiesa approverebbe una situazione di peccato, il testo afferma «che questa preoccupazione va dissolta, anche sulla base del metodo che papa Francesco delinea in Amoris Laetitia» e che «per le benedizioni è fondamentale la convinzione che è presente un bene morale nella vita comune di coppie che vivono insieme, unite dal vincolo di una reciproca responsabilità».

Siamo cioè in un caso eclatante di prevalenza della prassi pastorale sulla dottrina che separa o anche oppone – tenendo conto delle situazioni e delle circostanze – la norma morale valida in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe in ultima istanza del bene e del male. Secondo Veritatis Splendor (n.56), proprio questa è la base su cui si fonda la legittimità delle cosiddette soluzioni «pastorali», contrarie al Magistero, così da giustificare un’ermeneutica «creatrice», secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata in tutti i casi a un precetto negativo particolare.

Sarà questo lo scenario che si profila al sinodo sulla sinodalità di prossima celebrazione dove vedremo all’opera il tanto declamato “dialogo” ma dove fin da adesso è chiaro – solo per fare uno dei tanti esempi – che per chiunque affermasse che il sacerdote è colui che deve presiedere e celebrare l’eucarestia, occuparsi dell’amministrazione dei sacramenti e della cura delle anime sarà pronta l’etichetta di clericale, dove però nessuno ha ancora capito che cosa sia e voglia dire ma che viene bene per etichettare appunto coloro che pensano e credono in una Chiesa concentrata sulla sua missione principale: affermare la Verità e cioè Gesù Cristo. La sensazione diffusa è quella espressa con coraggio da un vescovo olandese: «Il processo sinodale, fino ad oggi assomiglia più ad un esperimento sociologico e ha poco a che fare con lo Spirito Santo che dovrebbe risuonare attraverso tutte le voci».

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A proposito di sacerdozio, giunge notizia dalla cancelleria arcivescovile di Torino che per poter usufruire dell’ampliazione del cimitero monumentale per nuove sepolture, si rende necessaria l’esumazione dei resti mortali di sacerdoti diocesani. Sono così stati pubblicati i loro nomi, molti dei quali abbiamo conosciuto e venerato. Fra questi spicca la luminosa figura di don Cesare Bisognin, spentosi a 19 anni in seguito a un atroce male il 28 aprile 1976 dopo appena ventiquattro giorni di sacerdozio. Il ricordo della sua testimonianza si sta forse affievolendo ma al tempo suscitò grande commozione ed ebbe un significato per una generazione di preti e laici torinesi. Chi ha buona memoria – ma esistono ottime pubblicazioni in proposito – ricorda quanto fu travagliata la vicenda umana di don Cesare e il suo desiderio di essere ordinato prete. Vari impedimenti sussistevano, non soltanto dal punto di vista canonico – la sua giovane età – e si connettevano alla natura stessa del sacerdozio e che mettevano in luce due linee teologiche che si confrontavano dopo il Concilio relativamente al ministero ordinato. La prima lo intendeva – e lo intende – come servizio alla comunione ecclesiale sulla base del fondamento apostolico e concepisce il ministero come un coordinamento dei carismi della comunità, la seconda, è aderente al documento conciliare Presbyterorum Ordinis, ove si afferma che Cristo costituì alcuni come ministri che «avessero il sacro potere di offrire il sacrificio e di rimettere i peccati e svolgessero pubblicamente per gli uomini in Suo nome l’ufficio sacerdotale». Molto brutalmente alcuni – anche docenti della facoltà teologica di cui omettiamo il nome – si chiedevano che senso avesse ordinare un prete al servizio della comunità se avrebbe cessato di vivere di lì a poco, così come avvenne. Se il ministero ordinato è infatti solo un servizio reso a favore della comunità e, come tale, esercitato in pienezza di vita – un servizio “efficiente” – a quale scopo ordinare un malato terminale? Infatti, alla richiesta di ordinare Cesare avanzata da tante persone, il cardinale Michele Pellegrino rispondeva che il sacerdozio non è un contentino o la soddisfazione di un pio desiderio ma il porsi a disposizione della comunità e questo era anche l’iniziale parere dei superiori del seminario. Successivamente, anche su indicazione dello stesso papa Paolo VI che concesse la dispensa, l’arcivescovo cambiò parere: «Ci ripensai, e cercai di farmi un’idea più approfondita del servizio sacerdotale. Riflettei sul fatto teologico che il sacerdote è anche colui che offre Cristo ostia e che si offre con Cristo ostia, e con questo rende un servizio – e che servizio! – alla Chiesa, all’umanità e al mondo». Fare memoria di don Cesare a quasi cinquant’anni dalla sua morte significa non solo ricordare il bene che il suo esempio ha fatto alle anime ma ritornare sulla fondazione cristologica e sulla natura sacramentale del sacerdote che lo rende capace di dare – per usare un’espressione di Benedetto XVI – «ciò che non proviene da noi». Oggi la prospettiva dominante insegnata nei seminari è quella funzionalista, non esiste un ministero ma una molteplicità di funzioni, non esiste, tra queste funzioni, un sacerdozio ma solo un compito di guida al quale non è riservata la successione apostolica che è propria invece di tutta la Chiesa e di ogni cristiano. Hanno prevalso insomma quelli che si opponevano all’ordinazione di don Cesare.

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In un’intervista a Settimana News don Luigi Garbini, prete ambrosiano, autore di vari volumi di musica sacra ha fatto alcune dichiarazioni in riferimento al canto gregoriano come testimonianza esemplare della cultura cristiana e allo spazio che esso occupa oggi nella Chiesa, cioè quasi zero. Ma ha anche ricordato a quelli che parlano sempre di Concilio ma non hanno mai letto un suo documento che la costituzione sulla liturgia afferma che la Chiesa «riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana: perciò nelle azioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si riservi il posto principale». Sul tema della difficoltà del gregoriano – che nessuno sottovaluta – lo studioso afferma che «tutti amiamo le cose fatte bene, ma non è lo scopo primario del culto e poi l’organizzazione del canto liturgico non prevede che tutti facciano tutto». Circa le forme musicali sperimentate in questi anni il giudizio è che sarebbe da buttare la mole spaventosa «di noiosa musica che riempie ancora le liturgie che non andrà mai a comporre alcun repertorio, perché non ha storia: non è di nessuno».

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Per la serie “creatività liturgica” segnaliamo l’altare della Reposizione apparecchiato – è veramente il caso di dirlo – dal parroco di Rutigliano (Bari). Se l’Eucaristia è soltanto un banchetto l’obiettivo sembra essere stato pienamente centrato.

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Uno dei punti più bassi toccati dall’informazione vaticana e dai suoi corifei laici si è avuta durante il malore che ha colto il papa con il suo conseguente ricovero in ospedale dove vi giunto incosciente e si è temuto per la sua vita. Si è iniziato con gli accertamenti programmati fino alle più incredibili versioni, insomma si è mentito disinvoltamente o si sono assecondate palesi menzogne quando invece diverse fonti offrivano molti particolari rilevanti per chiarire dubbi e manipolazioni. Ai tempi di Pio XII erano i giornali laici a mettere in dubbio le versioni ufficiali, oggi le stesse stessi le assecondano pedissequamente.

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Il Consiglio dei ministri dei Paesi Bassi ha dato il via libera affinché i bambini di età inferiore ai 12 anni possano ottenere l’eutanasia. Aspettiamo le reazioni delle Chiese, se ci saranno.

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