Il museo Fiat e la memoria dimenticata

Torino si appresta a perdere un altro pezzo di storia industriale. Il museo storico della Fiat nell’affascinante architettura liberty di via Chiabrera, oggi chiuso, si appresta a traslocare ad Arese, al museo dell’Alfa Romeo. Anziché progettare un museo dell’industria torinese, che poi sarebbe la storia di questa città, ne perdiamo un ulteriore pezzo consentendo, da parte delle Istituzioni e attori sociali, la vendita della storica palazzina da parte di Stellantis. Quell’edificio con un importante valore architettonico, insieme agli edifici adiacenti, fa parte del nucleo originario della Fiat che mosse i primi passi proprio in quel quartiere. Fu infatti il primo ampliamento, nel 1907, delle officine di corso Dante dove nacque l’azienda.

Fin dall'inizio è stato teatro di momenti importanti nella storia della Fiat come la firma, da parte del Senatore Giovanni Agnelli, dell’accordo con l'Urss che portò alla costruzione dello stabilimento nella Città di Togliatti. Ora il Centro Storico ospita una collezione di automobili, cimeli, modellini e manifesti pubblicitari che copre l’intera storia della Sacra Ruota. Dalla prima vettura, la 3½ Hp, all’impressionante “Mefistofele”, che nel 1924 batté il record mondiale assoluto di velocità. E poi ci sono il primo trattore, il Fiat 702 del 1919; l’autocarro 18BL, che motorizzò le truppe italiane nella prima guerra mondiale, la Littorina, protagonista del trasporto ferroviario a partire dagli anni Trenta e il caccia G91, il velivolo disegnato da Giuseppe Gabrielli e poi adottato dalla Nato.

Il percorso di visita, in cui è possibile imbattersi in motori per navi, biciclette, frigoriferi e lavatrici “targati” Fiat, si snoda attraverso la ricostruzione di alcuni stabilimenti simbolo della storia aziendale e dei cambiamenti nel modo di lavorare. Nello stesso edificio è presente anche l’archivio aziendale dove è di particolare interesse il fondo del progettista Dante Giacosa, il “papà” delle utilitarie – la Topolino, la 600, la 500 – che hanno motorizzato l’Italia. L’esposizione non si concentra solo sulle auto ma spazia su aeroplani, treni, trattori, biciclette, lavatrici, frigoriferi, tecnologie belliche e motori per navi. Un patrimonio da non disperdere la cui responsabilità di salvarlo deve essere affidata agli enti locali – dal Comune alla Regione -  con un primo passo da parte della Sopraintendenza alle Belle Arti che ponga vincoli sull’utilizzo e destinazione dell’edificio e i suoi contenuti.

Si può progettare un museo itinerante dell’industria e dislocato in varie sedi partendo da via Chiabrera e passando per il museo dell’aeronautica e aerospazio a Caselle sino al museo del cuscinetto Skf a Villar Perosa. Un museo itinerante, anche a cielo aperto se pensiamo alle installazioni del museo urbano dell’aerospazio in viale Certosa a Collegno. Rivolgo un appello per cui le associazioni, le fondazioni, anche le organizzazioni sindacali e storico-culturali a esse affiliate lancino una campagna per la salvaguardia e valorizzazione di questo patrimonio. Anche questa è storia operaia perché ciò che vi è esposto è il frutto del lavoro di migliaia di mani operose dei lavoratori del Torinese. Non siamo di fronte a un doppione del Mauto, perché sono storie, sempre torinesi, ma diverse. Al limite vanno associate in un percorso museale.

Non solo Comune e Regione. Le Fondazioni torinesi, a partire dalla Compagnia di San Paolo, il rettore del Politecnico, Guido Saracco, sempre attento alla storia della città, hanno il dovere di agire per tutelare e salvaguardare un pezzo del nostro patrimonio storico. Quel Museo non appartiene a Stellantis ma è patrimonio di Torino e non può essere traslocato o allocato altrove, anzi va riaperto e valorizzato. Sull’esperienza del gruppo anziani e ex dirigenti Skf, che gestiscono il museo di Villar, sull’esempio della Fondazione Ferrero ad Alba anche l’Ugaf, il gruppo anziani Fiat e gli ex dirigenti Fiat facciano sentire, con forza, la loro voce per far ripartire, magari assumendosi la gestione operativa, un pezzo di racconto della vita storica del nostro territorio. La storia è memoria, non perdiamola.

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