POLITICA & SANITÀ

Regioni: più soldi per la sanità,
meno lacci su privati e gettonisti

Fondi insufficienti e regole da rivedere. Emendamenti al decreto Bollette per maggior flessibilità con le strutture accreditate. Non limitare gli esterni ai Pronto Soccorso. In Piemonte sotto esame i bilanci delle Asl. Icardi aspetta (e spera) i 300 milioni Covid

Meno vincoli sul ricorso alla sanità privata così come sui medici gettonisti, procedure snelle per gli ospedalieri che vogliono diventare medici di famiglia, ma soprattutto più soldi per il fondo sanitario. Sono queste le principali richieste che le Regioni rivolgono al Governo, e in particolare al ministro Orazio Schillaci, mettendole nero su bianco in una serie di proposte di emendamenti al decreto Bollette.

Un segnale forte, quello che parte dalla commissione Salute della Conferenza delle Regioni, coordinata dall’assessore dell’Emilia-Romagna Raffaele Donini. “Senza le modifiche che abbiamo chiesto sul ricorso ai medici a gettone, in particolare la possibilità di utilizzarli anche in ulteriori reparti oltre ai Pronto Soccorso e non fissare limiti di tempo troppo stringenti, rischia di saltare il sistema”, spiega il titolare della sanità piemontese Luigi Icardi che, in commissione, di Donini è il vicario. “Bene l’indispensabile tetto, ancora da quantificare, ai costi per i gettonisti, che avevamo chiesto con forza  – prosegue l’assessore – ma su altri aspetti del testo sono indispensabili degli aggiustamenti”.

Altro tema posto dalle Regioni al Governo è quello del rapporto con la sanità privata accreditata. Viene chiesta “una maggiore flessibilità̀, rispetto al vincolo di mantenere ferma al livello di 12 anni prima la spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l'assistenza specialistica ambulatoriale e per l'assistenza ospedaliera”. 

Nella proposta di modifica, le Regioni ricordano come “in questi ultimi 12 anni il finanziamento da parte dello Stato della spesa sanitaria corrente, in termini nominali, si è incrementato, mentre il vincolo relativo alla spesa per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l'assistenza specialistica ambulatoriale e per l'assistenza ospedaliera è rimasto sostanzialmente invariato”. Da qui la necessità di intervenire con “una maggiore flessibilità̀ nel vincolo di spesa che viene, in ogni caso, concessa nel rigoroso rispetto dell’equilibrio economico e finanziario dei rispettivi servizi sanitari”. Per fronteggiare la scarsità di medici di famiglia viene suggerito di rendere meno complesso e più rapido il passaggio a questo ruolo da chi abbia una determinata anzianità di servizio nella medicina ospedaliera, anche se il rischio è quello di tamponare una falla da una parte e allargarne una già esistente dall’altra.

Ma, come ampiamente previsto, è quello finanziario il nodo principale e la richiesta che arriva al Governo è quella di incrementare il fondo nazionale e attuare una serie di interventi normativi per evitare che le enormi spese sostenute negli anni del Covid, insieme ai rincari energetici e di altre voci di spesa, possano condurre non poche Regioni verso il commissariamento con piani di rientro.

“Gli incrementi del fondo sanitario che pure ci sono, vengono quasi tutti assorbiti da rincari e costi crescenti, con il risultato che l’aumento del fondo in realtà non c’è”, osserva Icardi. “Ecco perché chiediamo maggiori risorse, altrimenti non ci resterebbe che dover spiegare ai cittadini che alcune prestazioni il sistema non sarebbe più in grado di fornire. Un punto al quale non vogliamo e non bisogna arrivare”. Lo stesso nuovo decreto sui Lea, i livelli essenziali di assistenza, che arriva dopo sei anni dall’ultimo e che contempla ulteriori prestazioni rischia di partire in salita. Ieri è stato un coro unanime di apprezzamento (con alcuni distinguo, anche dalle minoranze), tuttavia pur di fronte a un testo atteso da anni, lo stesso ministro ha messo le mani avanti dicendosi pronto, se necessario, a un’iniezione di ulteriori 200 milioni (cifra, peraltro a dir poco assai modesta) da aggiungere ai 400 che già ci sono.

Intanto, di soldi si continua a ragionare in corso Regina, dove negli uffici dell’assessorato continuano a fare la spola i direttori generali delle aziende sanitarie con i bilanci di previsione per l’anno in corso. La situazione finanziaria della sanità piemontese è a dir poco critica. Non è certo d’aiuto quel credito vantato nei confronti del Governo che, mesi dopo mesi, sembra sempre più inesigibile. I circa 300 milioni promessi dall’allora ministro Roberto Speranza a parziale compensazione per le spese sostenute nel corso dell’emergenza Covid non sono mai arrivati. E se a Icardi si chiede se, ormai, ci ha messo una pietra sopra, risponde che “la pietra ce l’ho in mano e prima o poi la tiro a qualcuno, se i soldi non arrivano”. Minaccia metaforica dall’esito incerto, come incerta resta la data in cui la Regione approverà i conti previsionali di Asl e Aso. L’invito a rivederli al ribasso, senza ovviamente tagliare prestazioni, non pare aver ancora sortito l’effetto auspicato. “Fino a quando non si trova il necessario equilibrio e i bilanci non risultano adeguati alle risorse disponibili – spiega l’assessore – il riparto per assegnare i fondi le aziende non si fa”. 

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