Gli indifferenti

La Festa della Liberazione è giunta al suo settantottesimo anniversario. La ricorrenza, purtroppo, dimostra tutti i suoi anni e alle celebrazioni si presenta con crescente stanchezza, stremata dall’incessante confronto con l’oblio.

L’insegnamento dato dalle lotte partigiane, e dal sacrificio di tante donne e tanti uomini, sembra aver raggiunto un pericoloso punto di stallo. La memoria collettiva svanisce giorno dopo giorno, malgrado l’indefesso lavoro svolto dai volontari dell’Anpi per mantenerla viva.

Le “pietre di inciampo”, ideate dall’artista tedesco Gunter Demnig, spargono i semi del ricordo “diffuso” storico sull’intero tessuto urbano delle città in cui vengono collocate. I cubetti, inseriti nei piani di calpestio dei marciapiedi pubblici, presentano ai passanti una faccia che riporta il nome dei deportati, insieme alle loro date di nascita e di uccisione nei lager. L’opera artistica stimola la curiosità di chi idealmente vi inciampa, e quindi accresce in molti il desiderio di conoscere il dramma umano causato dal nazifascismo.

L’azione si aggiunge alla variegata letteratura dedicata alla guerra di Liberazione, alle narrazioni cinematografiche e al lavoro svolto nelle scuole da insegnanti attente ai valori costituzionali diventati tali grazie alla Resistenza. Malgrado tutto, gran parte degli italiani ha scelto la strada della non conoscenza, quella che volutamente pone nell’oscurità le conseguenze determinate da chi ha teorizzato la supremazia di una parte del popolo su tutti gli altri: il feroce dominio attuato nel nome della patria oppure della razza.

Una deriva che attecchisce nel tessuto sociale, anche a causa delle tante scorciatoie percorse dalla Politica (oramai specializzata nel fornire risposte banali a problemi complessi). La stessa fiacca ritualità riservata da numerose amministrazioni pubbliche alle celebrazioni del 25 Aprile contribuisce, in maniera determinante, ad affossare qualsiasi risveglio dell’attenzione collettiva sui tentativi messi in atto da chi anela a un drammatico ritorno al passato.

Cent’anni esatti dopo la Marcia su Roma, fatto che aprì le porte al potere assoluto del Partito Fascista, il governo del Paese è stato assegnato dalle urne alla destra che, senza nasconderlo troppo, raccoglie tra le sue fila un gran numero di nostalgici del Ventennio. L’esecutivo Meloni è oramai noto all’estero, più che in Italia, per le numerose gaffe fatte dai propri ministri (e non solo) in merito al nazifascismo e alla lotta di Liberazione.

Il 18 febbraio scorso, Firenze è stata protagonista di alcune aggressioni squadristiche ai danni di studenti individuati come appartenenti a gruppi di Sinistra. La preside del Liceo Leonardo da Vinci, in seguito ai pestaggi avvenuti davanti al liceo Michelangiolo, ha scritto una lettera ai suoi studenti. Il messaggio, tra le altre considerazioni, evidenzia che “Il Fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate di migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa”. La missiva ha turbato il Ministro dell’Istruzione Valditara, il quale non ha stigmatizzato gli aggressori, bensì chi l’ha redatta, ossia la preside. 

Considerazioni politicamente molto gravi poiché provenienti da un esponente di spicco del Governo, parole che un tempo avrebbero scatenato la ferma indignazione di tutta la sinistra istituzionale; uno sdegno che ogni consigliere e deputato avrebbe manifestato immediatamente nelle proprie sedi istituzionali. Oggi la reazione di chi siede nelle aule elettive fatica a manifestarsi, ed a poco è servito il deposito di un ordine del giorno di solidarietà alla professoressa. Inizialmente l’atto (presentato dai gruppi del M5s) è stato dichiarato inammissibile dalle Circoscrizioni torinesi governate dal Centrodestra, seppur approvato in Comune a larga maggioranza, ma l’attenzione riservata all’argomento da alcuni quotidiani ha imposto una brusca inversione di rotta a quegli esecutivi che, infine, hanno dovuto riceverlo rendendolo ammissibile.

Il tentennamento nel mettere l’ordine del giorno, soggetto a un vero e proprio boicottaggio, in votazione si è manifestato anche da parte delle giunte circoscrizionali di centrosinistra. L’esempio più calzante del tentativo di insabbiamento in corso arriva da Torino Sud, dove è stato sufficiente alla destra annunciare la preparazione di alcuni emendamenti ostruzionistici per mandare nel panico la maggioranza, e rinviare così a data da definirsi (comunque dopo il 25 Aprile per non fare tristi figure) la discussione dell’ordine del giorno (inevaso da ben due mesi).

Forse ha ragione chi ritiene che la sinistra abbia perso il suo Dna, un mondo progressista in gara nell’imitare il linguaggio della destra. In effetti depositare una corona di fiori il 25 Aprile ai piedi di una lapide commemorativa è atto dovuto, seppur poco impegnativo; diverso invece è lottare in Consiglio per sostenere l’attualità dei valori antifascisti: impegno che si vuol evitare poiché considerato al pari di un’inutile titanica fatica.

Nell’indifferenza, nell’ignavia e nella beata ignoranza il fascismo avanza indisturbato, guadagnando terreno giorno dopo giorno. L’indifferenza alimenta i regimi, la politica a sua volta alimenta l’indifferenza: al lettore il compito di giungere alle opportune conclusioni.

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