Quando al ministero c'era Donat-Cattin

Chiariamo subito. Nessuna tentazione nostalgica e, soprattutto, nessuna voglia di guardare avanti con la testa rivolta all’indietro. Una vulgata, questa, che coinvolge le persone che, seppur inconsapevolmente, non credono più nel futuro. Ma, fatta questa premessa doverosa e necessaria, non possiamo non evidenziare che proprio la festa del 1° Maggio ci fa tornare in mente quelle stagioni politiche dove la Festa del Lavoro non era una passerella mediatica o provocatoria o di mera e selvaggia polemica politica come ormai sta puntualmente capitando da troppi anni. Quest’anno compreso. Certo, molto, se non tutto, dipende dalle singole fasi politiche e dalla classe dirigente che di volta in volta è deputata ad interessarsi delle politiche del lavoro e di tutto ciò che è riconducibile al lavoro: dall’incremento dell’occupazione alla crescita economica e produttiva, dalla difesa dei diritti sociali e dei lavoratori alla promozione e alla salvaguardia dei legittimi interessi delle classi e dei ceti popolari. Che esistevano ieri ed esistono, soprattutto, oggi.

E, proprio parlando di questi temi il pensiero corre velocemente a chi ha saputo, in momenti storici forse anche più drammatici di quelli contemporanei, legare questi diversi tasselli in un grande e qualificato progetto politico. E il ruolo svolto, ad esempio, da Carlo Donat-Cattin come Ministro del Lavoro e dell’allora Previdenza sociale dal 1969 al 1972 e dal 1989 al 1991, per non parlare come Ministro dell’Industria fra il 1974 e il 1978, fu certamente decisivo e determinante nel come si affrontavano i temi legati al lavoro difendendo innanzitutto i lavoratori e la loro dignità, favorendo al contempo la crescita e la produttività e, infine, esaltando i diritti sociali attraverso una straordinaria capacità di negoziazione e di contrattazione.

Certo, parliamo, come tutti sanno e anche per chi lo nega, di un leader e di uno statista. Ma, al di là del profilo specifico politico e culturale di Donat-Cattin, è indubbio che parliamo di stagioni dove la politica contava, era visibile e non era rappresentata ed interpretata da improvvisatori o da tecnocrati del tutto avulsi dal contesto in cui dovevano operare e proporre. Da Di Maio alla Fornero – per citare solo due personaggi che hanno incarnato quei profili e, purtroppo, ricoperto anche quegli incarichi ministeriali prestigiosi – per non citarne molti altri, è di tutta evidenza che attraverso il Ministero del Lavoro non si è più riusciti progressivamente a centrare quegli obiettivi che nel passato era possibile perseguire ma con un’altra classe dirigente.

Ecco perché, per tornare alla sempre importante e nobile Festa del Lavoro, abbiamo tremendamente bisogno che nel nostro paese ritorni la politica, la progettualità della politica e, soprattutto, la capacità di saper legare la difesa dei lavoratori, la qualità del lavoro con l’insopprimibile esigenza di creare lavoro, e quindi ricchezza, produttività e competitività. Certo, i tempi sono cambiati e le fasi politiche, come ben sappiamo, scorrono rapidamente. E nessuno, al riguardo, può lontanamente immaginare di riavere quella classe dirigente di cui Donat-Cattin era un autorevole e qualificato rappresentante. Ma almeno una classe dirigente, e quindi di governo, che sia semplicemente presentabile. A livello di credibilità personale, di preparazione politica e, soprattutto, di capacità di governo. E la festa del 1° Maggio, tra le molte altre cose, ci ricorda anche questa impellente e non più rinviabile necessità.

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