Sanità e salario, i due pilastri

Vince la propaganda a destra e si tace a sinistra (e anche un po’ nel sindacato) perché 4 miliardi di taglio delle tasse del governo Meloni sono meno dei 7 del governo Draghi e dei 9-10 del governo Renzi con gli 80 euro, definiti una mancetta. Ma si sa oggi la politica e in buona parte il sindacato non sa più distinguere in base all’oggettività, ovvero ai contenuti, ma in base a chi fa che cosa; e allora se l’ha fatta Renzi va attaccata, ignorata, dimenticata sino quasi a ripudiare che sia stato segretario del Pd con una stragrande maggioranza di voti. Vince la demagogia, chiederei ad esempio se qualcuno ha provato a confrontare le nuove misure di inclusione sociale lavorativa con il Rei del 2018 dei Governi Renzi e Gentiloni.  

Mi sembra di ricordare che a togliere i vincoli sulle causali per i contratti a termine sia stato il governo Renzi, di un Pd completamente renziano anche se oggi tutti abiurano. Vincono anche gli elenchi dei problemi senza entrarci nel merito da parte degli elencatori.

Rifaccio due proposte:

  1.  Chiediamo al Governo di eliminare la clausola per cui al termine dei 36 mesi di apprendistato le aziende possano licenziare l’apprendista.
  2. Chiediamo al Governo che riduca le percentuali di contratti precari (a termine, a tempo determinato, in somministrazione di qualsiasi tipologia) che le aziende possono avere contemporaneamente al lavoro.

Oggi non è più tempo di lunghe piattaforme da cui non si riesce a concretizzare nulla, come insegnano anche i manuali sindacali sulla contrattazione, ma è tempo della cosiddetta negoziazione a “fetta di salame”; ovvero come dimostra l’esperienza dei vecchi contrattualisti che dice: “Se non riesci a mangiare tutto il salame, mangialo poco per volta”.

Allora quali sono i due, dico due, principali problemi che oggi assillano il Paese guardandolo dal punto di vista dei lavoratori e pensionati? La sanità e il salario, i due pilastri su cui si basa la nostra Costituzione con la cura della persona e un salario che consenta di fare tutte le conseguenti scelte derivanti dall’autonomia economica e quindi investire nei propri figli e nel futuro.

Anche qui, invece, assistiamo alla battaglia ideologica anche di una parte sindacale che sostiene il salario minimo mettendo a repentaglio la contrattazione tra le parti sociali. Togliere spazio alla negoziazione vuol dire dare un ulteriore colpo alla democrazia nel nostro Paese che oggi è già limitata dalla mancanza di intermediazione delle parti sociali. Purtroppo la disintermediazione l’hanno praticata a sinistra come a destra e anche i pentastellati nella loro generica contestazione a tutti i corpi intermedi e a ogni forma della vita democratica, dai partiti ai sindacati appunto. La negoziazione sociale è la vera partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali, sia attraverso la contrattazione nazionale sia con quella aziendale, laddove si fissano strumenti di confronto e verifica tra le parti anche in tema di bilancio sociale, di rapporto azienda e territorio, di welfare e benefit contrattati.

Sono i contratti nazionali che determinano il salario minimo, non la Legge fatta da un Governo temporaneo. Occorre però stabilire la legittimità di chi contratta e la sua rappresentatività. La dispersione della rappresentanza sindacale non sta generando più democrazia sui luoghi di lavoro ma produce più populismo e meno confederalità su cui occorre riflettere per evitare di inseguire il sindacalismo demagogico anziché farsi inseguire sulla strada del bene comune.

Negli anni 60 e 70 del secolo scorso fioriva la parola d’ordine del mettere in discussione il sistema, accantonare le nostre certezze per inseguire un mondo nuovo, in crescita. Oggi a fronte di tante incertezze, di una società in declino, guerre, pandemie, crollo degli ideali dopo il crollo delle ideologie, mancanza di punti di riferimento di idee e persone con, però, un leaderismo esasperato e inguardabile, serve ricostruire alcune certezze e orientamenti che indichino la strada da percorrere.

Toccherebbe al sindacato, alla politica, alla scuola risanare il deficit valoriale e si potrà ricominciare solo se alla, ormai, onnipresente parola diritti sostituiremo la parola doveri. Cosa posso dare io al noi del bene comune? Ma purtroppo mancano gli insegnanti!

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