Torino sospesa tra passato e futuro

Porta Susa è la cartolina ideale da inviare a chiunque voglia, con una sola immagine, conoscere il passato ed il futuro di Torino. Da una parte quel che è stato, ossia la stazione ferroviaria storica con il suo decadente edificio in muratura sorto laddove, un tempo, si erigeva una delle porte di accesso all’antica capitale sabauda. Dall’altra, speculare alla prima, la struttura moderna: il futuro della metropoli assegnato a linee architettoniche avveniristiche disegnate con ferro a cornice di cristalli dalle varie forme.

Il biglietto da visita del capoluogo subalpino potrebbe limitarsi a questa foto, scattata sul finire di via Cernaia, lasciando al visitatore il piacere della scoperta di piazze, vie e monumenti che nei secoli hanno sostituito le strade parallele dell’accampamento romano posto nella terra dei Taurini. Uno sguardo sulla città ritenuto però insufficiente da tutti coloro che sono nati a Torino, oppure hanno scelto di viverci nella speranza di costruire un futuro per la propria famiglia.

Ai torinesi, infatti, non sfugge come in mezzo ai due complessi, tra il passato e quello che avrebbe dovuto essere il futuro, prende forma fisica l’attuale incertezza. Laddove i due luoghi si sfiorano emerge una sorta di terra di nessuno, un’area dove compiuto e incompiuto si confrontano regalando ai cittadini una buona dose di sconforto.

Per approfondire la conoscenza della storica città capitale d’Italia occorre andare oltre l’immagine di Porta Susa, e farlo significa affrontare anche il dolore che deriva dal rimpiangere il passato avendo al contempo timore del futuro. La vecchia stazione saluta gli arrivi del terminal ferroviario prendendo le sembianze di un vero e proprio spettro: il fantasma della metropoli dove la FIAT aveva alle sue dipendenze una città nella città, e dove le lotte operaie diedero vita ai primi movimenti socialisti nel secolo scorso. L’edificio si affaccia su una piazza il cui nome evoca un pezzo importante della Storia di Torino, ossia il XVIII Dicembre 1922: il giorno in cui le squadracce fasciste si macchiarono di infami stragi compiute contro lavoratori.

La struttura ferroviaria moderna si mostra invece quale piccolo capolavoro architettonico e si propone punto “vivace” di arrivo di un’immaginata moltitudine internazionale, che si porta nella metropoli piemontese per viverla nella sua nuova veste postindustriale. Ruolo sperato, ma ancora in attesa di realizzazione piena, come dimostra il repentino declino in cui è caduta la sua hall. Basta fare qualche passo in più per imbattersi in un altro fantasma, nel palazzo RAI abbandonato da molti anni (grazie all’alibi dell’amianto) e oramai dal porticato adattato a giaciglio per migranti senza tetto.

Portandosi in centro città, questuanti (sfruttati da chi li colloca nei punti “strategici”) e venditori abusivi di souvenir (i quali usano le colonne di Palazzo Carignano come deposito banchetti nelle ore notturne) regalano l’ennesimo sfondo di una Torino privata della sua identità. Capace di rialzarsi dalla polvere dopo ogni crisi, compresa quella giunta dopo lo spostamento della capitale a Firenze, la nostra città sembra oggi in un limbo pieno di paura e senza speranza, in un’infinita attesa dove i sogni svaniscono insieme alle grandi aziende che l’hanno resa unica.

Le Olimpiadi hanno fatto da volano al turismo, aprendo però una voragine debitoria spaventosa; al contempo tutta la retorica campanilistica incentrata sul revisionismo storico (filoborbonico) del Risorgimento sembra voler togliere anche il riconoscimento del sacrificio, non solo in termini di vite umane, che il capoluogo subalpino ha compiuto nel dare vita all’unità nazionale. Le continue menzogne su quell’epoca gettano ingiustamente Torino in una sorta di vergognosa ombra da cui ogni giorno più difficile riemergere. La classe politica, incapace di guardare oltre il proprio interesse, completa il drammatico quadro sin qui disegnato: il capoluogo piemontese rischia il collasso nell’indifferenza delle Istituzioni.

Tra la vecchia e la nuova Porta Susa esiste una terra di nessuno che versa in stato di abbandono; in periferia interi rioni soffrono la marginalità in cui sono stati spinti all’indomani della chiusura dei progetti dedicati, nei decenni scorsi, alla riqualificazione urbana.

Torino attende solo un’idea e un po’ passione per trasformarsi nuovamente in opportunità collettiva. È quindi tempo di rianimare speranza e creatività, di uscire dal torpore e ispirarsi a quell’orgoglio operaio che ha fatto grande questa città.

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