Con Renzi una Margherita 2.0

Paradossalmente, più vengono snocciolati i dati elettorali – anche quelli recenti a livello amministrativo – e più emerge la necessità di riavere una forza politica che sia in grado di intercettare e di farsi carico di una domanda a tutt’oggi non sufficientemente rappresentata. Certo, l’immagine emersa in questi ultimi mesi all’interno dell’ormai ex terzo polo – che si candidava a rappresentare quell’area – non è stata granché incoraggiante, per usare termini educati e di buon senso. Eppure, c’è un dato – su tutti – che quasi impone la necessità di avere quel luogo politico maggiormente organizzato e strutturato. E cioè, non possono essere forze politiche che predicano e praticano la radicalizzazione politica e la polarizzazione ideologica a declinare la cosiddetta “politica di centro”. E questo per il semplice motivo che non hanno la cultura politica, il profilo necessario e l’approccio giusto per centrare quell’obiettivo.

Ora, credo che un movimento/partito/luogo politico centrista, democratico, riformista e di governo non potrà che essere culturalmente plurale e con una leadership diffusa. Cioè con l’apporto di più culture e sensibilità ideali e senza un “capo” indiscusso e inattaccabile. Se volessimo fare un esempio con il passato potremmo dire che si rende sempre più necessario avere una sorta di Margherita 2.0. Ovvero, un partito – seppur aggiornato e rivisto rispetto a quello originario, come ovvio e scontato – che riseca a svolgere un ruolo che oggi è fatto proprio da soggetti politici del tutto estranei ed esterni a quell’impianto culturale. Basti pensare al “nuovo corso” del Pd a guida Schlein che teorizza la radicalizzazione come regola aurea del confronto politico nel nostro paese. Una radicalizzazione che passa attraverso prima la delegittimazione morale dell’avversario/nemico e poi del suo annientamento politico perché dipinto come il peggio del peggio. Cioè l’esatto contrario di quello che richiede una sana e fisiologica democrazia dell’alternanza.

Ecco perché, al riguardo, la proposta di dar vita ad un movimento politico che, al netto del perdurante bipolarismo sinché dura questo sistema elettorale, recuperi la miglior “politica di centro” non può che essere un forte e qualificato valore aggiunto non solo per il futuro del Centro, ma per tutta la politica italiana. E la recente proposta di Matteo Renzi, al di là e al di fuori delle polemiche che hanno attraversato l’ex terzo polo, coglie nel segno quando rilancia la necessità di avere uno spazio politico adeguato per chi non si colloca meccanicamente e dogmaticamente o a destra o a sinistra nello scacchiere politico italiano.

Una sfida che, forse, potrebbe anche diventare decisiva per chi pensa ancora di costruire, e consolidare, nel nostro paese due vere e credibili coalizioni di centro destra e di centro sinistra. Un obiettivo, questo, che si può centrare però solo se ritornano i partiti, le culture politiche, i programmi di governo e, soprattutto, una vera e solida classe dirigente. Anche perché il Centro, è bene non dimenticarlo mai, di norma è sempre stato rappresentato da una autorevole e qualificata classe dirigente. Gli improvvisatori, i demagoghi, i qualunquisti, i trasformisti e gli arrampicatori guardano altrove. Quasi sempre al populismo antisistema e antipolitico.

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