Informazione e democrazia

L’informazione perde ogni giorno un po' di smalto. La sua credibilità, che dovrebbe derivare dall’essere oggettiva e funzionale al servizio pubblico, si incrina con accelerazione costante e in modo proporzionale all’essere strumentale al potere di turno.

Creare il caso per trasformarlo in atto di manipolazione dell’opinione collettiva, puntare il dito contro un capro espiatorio per assolvere il politico, responsabile di un esercizio amministrativo, sembrano essere diventati i compiti principali di molte redazioni televisive e della carta stampata (quest’ultima, generalmente in calo vendite e in crisi di lettori).

In questa triste cornice, una contestazione avvenuta al Salone del Libro di Torino, i cui battenti hanno chiuso qualche giorno fa, diventa la notizia (l’unica) riguardante la kermesse piemontese dedicata ad editori e lettori. La rassegna, che ha fatto varcare le porte del Lingotto a oltre 215mila visitatori, è stata ancora una volta un grande contenitore culturale, ricco di appuntamenti e incontri con autori, ma verrà purtroppo ricordata soprattutto per un coro di slogan rivolti contro la Ministra Roccella, giunta sabato 20 maggio allo stand della Regione Piemonte per tenere una conferenza.

Un nutrito gruppo di donne, infatti, ha deciso di impedire alla componente dell’esecutivo Meloni di parlare. L’azione, dichiarano i promotori, è stata decisa per colmare l’enorme divario tra chi ricopre ruoli di governo, ossia coloro che tramite i media possono gettare sui cittadini dichiarazioni dai toni molto duri (poiché ispirati da una missione quasi divina), e i cittadini che subiscono le loro scelte senza avere neppure un minuscolo spazio di replica a difesa dei propri diritti.

Si è trattato quindi della classica contestazione, evento attualmente raro al contrario del passato, che sarebbe bene mettere in conto quando si raggiunge il potere, a meno che non si voglia instaurare un regime. Purtroppo, però, negli ultimi tre anni i ministri in carica hanno mostrato paura, avversione, per qualsiasi forma di critica, anche non dura: il fascino esercitato dalla deriva autoritaria rischia di abbracciare molti partiti, compreso quello che ha espresso la Premier.

Ecco allora che i manifestanti vengono etichettati, dalle numerose testate favorevoli al centrodestra, al pari dei fascisti, ed a queste fanno eco pure alcuni redazionali di quotidiani vicini al Pd: il pensiero unico è nuovamente servito. Scatta quindi la condanna quasi unanime per quanto avvenuto al Salone, e al contempo viene puntato il dito accusatorio, per il debole intervento a sostegno della Ministra, verso il patron Lagioia (sinceramente non immagino cosa avrebbe potuto fare in quell’occasione).

Un meccanismo simile si è verificato, ed è ancora in corso, nei confronti della grande tragedia che ha colpito la Regione Emilia-Romagna. Nei talk show i dibattiti si svolgono in genere sotto due titoli giornalistici: “Le colpe del mutamento climatico e della siccità”, oppure: “La burocrazia ambientalista causa disastri”. In maniera subdola si induce così il pubblico, come il lettore di carta stampata, a manlevare da ogni responsabilità i cementificatori per condannare, invece, senza possibilità di appello la Natura insieme agli ecologisti.

Quando una marea di fango e acqua travolge un abitato, un paese o un’area estesa, occorre distrarre l’opinione pubblica da decenni di opere che ne hanno devastato il territorio, imbrigliando malamente le acque e sottovalutando i fronti del terreno a rischio frana. Le conseguenze della speculazione edilizia, che piega al suo volere piani regolatori e aree fluviali di esondazione, vengono denunciate solo dai sindaci dei comuni sott’acqua, mentre gran parte dei colleghi all’asciutto e presidenti regionali ritengono doveroso avviare una sorta di caccia alle streghe nei riguardi dei “burocrati ambientalisti”, mandati alla gogna dalla comunicazione di massa.

Un Paese in cui buona parte del quarto potere è pronto a sposare acriticamente alibi e tesi partorite da lobby in malafede, allora in pericolo è la democrazia stessa, oltre i diritti assoluti e l’esistenza di chi risiede in aree a rischio idrogeologico.

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