Abuso di diritto

Abbiamo un problema: l’abuso della parola “diritti”. Spesso durante le manifestazioni soprattutto sindacali sentiamo lavoratori e attivisti sindacali dichiarare che: “ci hanno tolto i diritti”; “lottiamo per i diritti”. Poi qualcuno cita ancora l’articolo 18.

Proviamo a fermarci e a riflettere sull’uso o abuso ormai della parola diritto. Intanto a quali diritti ci riferiamo? Quelli sindacali? Quando li avremmo persi e dove? Perché gli stessi sindacalisti che dicono di lottare per i diritti persi dovrebbero domandarsi se si stanno autoaccusando. Li abbiamo persi rinnovando i contratti nazionali? Li abbiamo persi nella contrattazione aziendale? Non mi sembra che in questi anni la contrattazione sindacale confederale abbia lasciato per strada dei diritti dei lavoratori. Di qui la domanda: dove e quando e quali diritti avremmo perso in questi anni? Perché se sono gli attivisti sindacali, i delegati, i sindacalisti a tempo pieno a pronunciare queste frasi dovremmo indagare e riflettere a fondo sulla natura e composizione del gruppo dirigente del sindacato confederale.

La contrattazione nazionale è profondamente cambiata nell’ultimo ventennio dando sempre più spazio a previdenza e sanità integrativa coinvolgendo anche i familiari del lavoratore, si è espansa su welfare e benefit trasformando una parte del salario in erogazioni di servizi per il lavoratore e la famiglia. Tra l’altro il welfare aziendale è diventato uno dei temi su cui chi cerca lavoro basa poi la scelta successiva di accettarlo o meno.

Quando si dice che il salario non copre l’inflazione che conteggio facciamo? Quali voci prendiamo a riferimento? Ciò non toglie che in Italia abbiamo un problema salariale da affrontare e la risposta non è il salario minimo che toglierebbe di mezzo o comunque ridurrebbe il ruolo della contrattazione collettiva tra le parti a favore di una contrattazione ad personam. Infatti alle imprese confindustriali sotto sotto questa idea non dispiace, anzi. Il salario minimo è quello determinato dalla contrattazione tra le parti in base all’inquadramento professionale e a tutte le voci che concorrono al salario complessivo derivante dalla sua professionalità e competenze. È anche merito questo? Fate voi.

Oppure l’inflazione della parola diritto si riferisce all’articolo 18? inviterei tutti ad analizzare le statistiche di quante cause venivano fatte sull’articolo 18 che si concludevano con un reintegro anziché un accordo tra le parti. Per anni abbiamo fatto il gioco di Confindustria perché mentre noi facevamo le barricate sull’articolo 18 le associazioni datoriali da un lato rinunciavano, magnanimamente e furbescamente, alla battaglia sullo stesso e dall’altro si prendevano qualche miglioria a loro favore nei Contratti nazionali. Confindustria applicava la strategia del “falso obiettivo” e i sindacati – soprattutto quelli più a sinistra – abboccavano. Questo per dimostrare che le battaglie ideologiche non hanno un fine concreto e ti fanno sempre perdere qualcosa.

Non confonderei poi il diritto con la tutela ma anche qui i contratti nazionali non hanno ridotto la tutela ma modificato anche questioni molto delicate per i lavoratori, penso ad esempio al capitolo della malattia. Se ci riferiamo alla perdita di diritti sulla sanità, al diritto alla cura, all’assistenza allora le ragioni e i campi sono diversi dalla contrattazione e riguardano il cittadino in sé e non il lavoratore. Se ci riferiamo al diritto al lavoro, a trovare un lavoro siamo di nuovo nel campo della tutela costituzionale, come per la Sanità, per i cittadini, per i giovani soprattutto.

Sul tema del lavoro però in questi anni si è formata una visione in cui, vedi le stesse dichiarazioni di Landini, si confonde il lavoro dignitoso con il fatto che un lavoro può essere faticoso, manuale, ripetitivo e anche stancante ma dignitoso. Un lavoro dignitoso è quando lo puoi svolgere in sicurezza, con il giusto riconoscimento professionale (il merito) e un adeguato salario determinato dal Contratto nazionale oltre a quello della contrattazione aziendale, se presente. Oltretutto pochi, forse, ricordano o sanno che nel settore artigiani vige anche la contrattazione regionale quindi delle mini e limitate gabbie salariali in base al territorio già esistono; sempre per rammentarlo al puritanesimo populista di sinistra.  Tutto ciò fa emergere e riconfermare che oggi le priorità nel nostro Paese sono il lavoro e la sanità e come sindacato dovremmo concentrarci su alcuni temi specifici e prioritari evitando gli elenchi dispersivi.

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