BERLUSCONES

Da Forza Italia a Farsa Italia,
un (di)partito con Berlusconi

A trent'anni dalla discesa in campo del Cav, cosa è rimasto dell'antico spirito e di quella formazione che in Piemonte ha governato la Regione, tanti comuni e sfiorato il colpaccio a Torino? Un simulacro destinato alla rapida estinzione. Viaggio nel berlusconismo nostrano

Berlusconi è morto, e anche Forza Italia non si sente tanto bene. In verità, da sempre il partito riflette lo stato di salute del suo fondatore: dal vigore dell’abbrivio alla lenta decadenza. Forza Italia, come il padre padrone che le diede vita, di forza non ne ha più e mentre c’è chi vaticina la sua imminente fine, tutt’attorno aleggiano alleati e avversari, pronti a divorarne le spoglie. Insomma, più che un partito un “dipartito”.

Anche in Piemonte e in quella Torino mai espugnata è stato Silvio Berlusconi a segnare l’inizio della Seconda Repubblica. È nel quartiere Crocetta che, a partire dal novembre 1993, si sono svolte le prime riunioni del partito che ancora formalmente non c’era: un drappello di fedelissimi, reclutati in gran parte tra le (seconde) file di Fininvest era già attivo. Tutto ebbe inizio al civico 40 di via Legnano, stabile che ospitava gli uffici degli agenti di Publitalia, al pian terreno, mentre sopra si trovava un piccolo studio televisivo che serviva d’appoggio a quelli milanesi.

A mettere le fondamenta c’erano allora Enzo Ghigo e Marco Francia: “Ero entrato in Publitalia nel 1988, fui io stesso a chiedere al dottor Dell’Utri di buttarmi nella mischia” racconta quest’ultimo allo Spiffero. Pochi mesi per costruire una squadra, trovare candidati, raccogliere le firme per le politiche dell’anno successivo. Uno dei primi a essere ingaggiato fu un eccentrico psichiatra che curava una trasmissione su Grp: Alessandro Meluzzi, nome noto in città, un ex Pci transitato nel Psi craxiano. “Quando andai a trovarlo voleva a tutti i costi che mi coricassi sul suo lettino” ricorda ancora Francia. Poi si convinse, andò a Milano per il “casting” cui venivano sottoposti tutti i candidati e riuscì a ipnotizzare Berlusconi. Fu sua la prima impresa di Forza Italia in Piemonte: la vittoria nel collegio di Mirafiori, la roccaforte rossa dove votavano gli operai della Fiat, contro un campione del Pds come Sergio Chiamparino. Tra i pionieri d’allora c’erano Maria Teresa Armosino, che poi divenne parlamentare e presidente della provincia di Asti, il chirurgo plastico Edro Colombini, i fratelli costruttori Alessandro e Nino Cherio e infine Angelo Burzi, che rappresentava forse lo spirito autentico di quel partito che conquistava gli italiani con il più seducente degli ossimori politici, la “rivoluzione liberale”. Burzi fu l’unico a perdere alle politiche del 1994, sconfitto da Diego Novelli, che la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto aveva schierato nel collegio di San Paolo.

Passa solo un anno e un’altra vittoria, quella di Ghigo, segna il passaggio al bipolarismo anche della Regione Piemonte. Burzi questa volta ce la fa e diventa il primo capogruppo di Forza Italia a Palazzo Lascaris; con lui entrano “il cardinale” Ugo Cavallera, proveniente dalla Dc, il ciellino Giampiero Leo, il repubblicano Gilberto Pichetto Fratin, una commercialista intraprendente come Caterina Ferrero e a dare un tocco naïf il vanverologo Deodato Scanderebech. Forza Italia assorbe tutte le anime del pentapartito (a rappresentare i socialisti c'è Daniele Cantore, primo capogruppo di FI in Sala Rossa nel 1997, poi in Regione) e per dare qualche contenuto al caravanserraglio arruola qualche intellettuale di vaglia, uno tra tutti Saverio Vertone. La sinistra è opposizione in quasi tutto il Paese e in quasi tutto il Piemonte, resiste solo a Torino dove nel 1993 una grande alleanza disegnata a tavolino dal banchiere Enrico Salza assieme agli eredi della falce e martello aveva portato un docente universitario, Valentino Castellani, al piano nobile di Palazzo civico.  

Il partito si struttura, la sede è in strada Mongreno, in precollina, Ghigo assume anche formalmente il comando. Forza Italia cresce tra alterne fortune. Nel 1997 e nel 2001 il centrodestra berlusconiano arriva a un passo dall’espugnare Torino con Raffaele Costa e Roberto Rosso; quest’ultimo si fermò a un passo dal traguardo dopo aver combattuto con gravissimi problemi di salute durante tutta la campagna elettorale. Ed è proprio lui a prendere il posto Ghigo al vertice del partito piemontese prima di lasciare il testimone a Guido Crosetto, altro uomo chiave nella storia di Forza Italia, non solo a livello regionale.

È un Berlusconi ancora nel pieno delle sue forze quello che tra il 2005 e il 2006 scopre il sapore amaro del tradimento. È passato un decennio da quando tutto è nato: la Regione è appena stata persa, l’onda olimpica sta trasformando Chiamparino nel sindaco più amato d’Italia. Il primo a voltargli le spalle è un geometra sardo con la passione per i sondaggi: si chiama Giacomo Portas, è presidente di una circoscrizione di Torino quando lascia Forza Italia e fonda i Moderati, un brand prima che una lista, nato con il dichiarato intento di traghettare personale politico e relativi pacchetti di voti dal centrodestra al centrosinistra.

Ma se Torino resiste alle sirene berlusconiane, altre città si concedono volentieri: il 2004 è l’anno di Andrea Corsaro a Vercelli, nel 2007 Giorgio Galvagno si prende Asti e Piercarlo Fabbio Alessandria, due anni più tardi è il turno di Donato Gentile a Biella. I primi anni Duemila sono quelli in cui Berlusconi attrae gran parte del ceto politico: aderisce anche un giovane vicesindaco leghista, di Alba, che sotto le insegne azzurre, nel 2004, viene rieletto con 941 voti di preferenza: si chiama Alberto Cirio e l’anno successivo si ripresenta alle urne per le regionali: questa volta i voti sono quasi 11mila con cui si conquista uno scranno in via Alfieri.   

Quando il Cavaliere sale sul Predellino assieme a Gianfranco Fini l’Italia sembra destinata a passare dal bipolarismo per la contestuale nascita del Partito democratico. Oltre i due terzi dei voti a livello nazionale se li spartiscono due sole forze. Il Piemonte come tutte le altre regioni è in mano a una diarchia composta dal berlusconiano Ghigo e dal finiano Agostino Ghiglia, “l’incapace” e “il rapace” li chiamano i detrattori. Il 2008 è l’anno dell’ultimo grande successo di Berlusconi che torna per la quarta volta a Palazzo Chigi, ma la forza propulsiva del progetto iniziale s'è affievolita. C’è tuttavia ancora tempo per qualche colpo di coda: alle provinciali del 2009 è la giovane imprenditrice Claudia Porchietto, reduce dall’esperienza a capo delle Piccole imprese di Torino, a sfiorare il colpaccio quando costringe Antonio Saitta al ballottaggio che riesce a vincere solo grazie all’apparentamento con l’Udc di Michele Vietti.

A Roma però tutto precipita di colpo. La rottura con Fini segna di fatto la fine dell’ultimo esecutivo di Berlusconi. Ha fallito lui ed è sull’orlo del fallimento anche l’Italia. Arriva il governo tecnico di Mario Monti, Fini dà vita a un suo partito, il Cavaliere non trova nulla di meglio che rifugiarsi nella sua vecchia dimora, tra ricordi sbiaditi e promesse mancate. Dalla rivoluzione (liberale) alla restaurazione. Re Mida ha perso il suo tocco magico, anche tra i suoi c’è chi inizia a metterne in dubbio l’infallibilità. Negli anni successivi lo abbandonano in tanti e a lui non resta che osservare malinconico la diaspora dalla sua villa di Arcore. I primi ad alzare i tacchi sono coloro a cui aveva affidato le chiavi del partito: Ghigo, Rosso (sostituito da un omonimo), Crosetto. Tra coloro che restano fedeli ci sono Gilberto Pichetto e un appassionato come Carlo Giacometto, l’unico ad aver raggiunto Montecitorio dopo la trafila nel movimento giovanile di Forza Italia, dove militava assieme a Michele Coppola. Oggi il partito è nelle mani di Paolo Zangrillo, il fratello minore del medico personale di Berlusconi, diventato commissario in Piemonte senza neanche avere la tessera in tasca e poi addirittura ministro. Segno di come Forza Italia sia ormai da tempo Farsa Italia.  

Enrico Costa, il figlio di Raffaele, è stato l’ultimo segretario del Pdl ed è riuscito nell’impresa di abbandonare Silvio non una ma due volte. La prima quando s’affianca ad Angelino Alfano, il delfino senza il “quid”, nella fallimentare impresa di Ncd, la seconda, dopo essere rientrato in Forza Italia, quando aderisce nel 2020 ad Azione. Un percorso simile a quello compiuto da Osvaldo Napoli che Berlusconi s’è portato a Roma quando era un anonimo sindaco del Val Sangone.

E ora cosa resta di quel partito che ha proiettato il Piemonte nella Seconda Repubblica? Non così poco se si tiene conto che qui Forza Italia ha due ministri – Pichetto e Zangrillo – l’unico governatore del Nord, Cirio, il sindaco di Asti Maurizio Rasero (anche se non più iscritto) e quello di Vercelli Corsaro, due assessori (Andrea Tronzano e Marco Gabusi) e quattro consiglieri regionali, un manipolo di eletti in tutte le province. Tutti in gramaglie a piangere il fondatore ma soprattutto a interrogarsi sul proprio destino.

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