SANITÀ MALATA

Troppi infermieri negli uffici. "Subito una verifica dalle Asl"

Il 30% in Piemonte non svolge l'attività in corsia. Malattie professionali, ma anche "tolleranza" delle aziende e dei sindacati. Fenomeno che si trascina da anni. Bufalo (Opi ): "Ricognizione utile per pazienti e colleghi chiamati a turni massacranti"

Quanti sono gli infermieri che, per dirla brutalmente ma comprensibile, fanno un lavoro diverso da quello per cui sono inquadrati nel servizio sanitario del Piemonte? Nessuno lo sa. E già in questo sta il nocciolo di un problema che si trascina da anni e che, complice la crescente carenza di personale e le future aumentate necessità, non può non essere affrontato.

Non avere un quadro aggiornato e dettagliato dei professionisti che, per varie ragioni, tra cui quelle di salute ma non solo, sono impiegati negli uffici anziché in corsia, nelle direzioni sanitarie invece che nei Pronto Soccorso, non significa che la questione sia di dimensioni e importanza ridotte. “La quota del personale che non è dedicato all’attività infermieristica diretta e che quindi comprende sia chi è impiegato in funzioni amministrative, ma anche ci resta in ambito sanitario con però importanti limitazioni, si aggira attorno al 25 per cento”, conferma Ivan Bufalo, presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Torino. Pochi giorni fa il suo omologo di Varese, Aurelio Filippini, ha sottolineato la necessità di “un’attenta analisi da parte delle aziende sanitarie e ospedaliere su dove e come è collocato il personale” per far tornare i conti.

Quelle centinaia di infermieri che negli anni sono passati dai reparti agli uffici, quasi sempre senza un ritorno anche se le condizioni di salute o di altro tipo sono venute meno, continuano ad essere conteggiati da Asl e Aso come se fossero impiegati nel ruolo per cui sono stati assunti. Insomma, quando si lamenta una scarsità di infermieri in questo o quell’ospedale, la cifra va addirittura aumentata perché nelle tabelle delle aziende la differenza tra “operativi” e quelli che per una parte sia pure ridotta non può stonare la qualifica di “imboscati”, non appare. 

Vecchia storia, a cui nessuna giunta regionale, per non dire dei vertici di Asl e Aso, hanno provato a mettere mano, anche solo per avere quel quadro chiaro della situazione che oggi viene sollecitato dallo stesso presidente dell’Opi di Torino. “Da una ricognizione attenta e precisa ne avrebbe beneficio il sistema sanitario, la sostenibilità economica, ne avrebbero beneficio i malati che potrebbero godere di una proporzione di personale più importante e ne avrebbero – spiega Bufalo – anche i nostri colleghi impegnati in prima linea, in questo momento in sofferenza come mai prima d’ora”. 

Alla base di gran parte di queste migrazioni senza ritorno c’è una benevolenza da parte della dirigenza delle aziende che ben si è guardata dall’effettuare verifiche costanti, così come un occhio non meno strabico dei sindacati pronti a chiedere più assunzioni e assai meno a reclamare controlli contro gli abusi. “L’utilizzo improprio di personale infermieristico è purtroppo una realtà che toglie risorse all’assistenza e in qualche modo contribuisce ad aggravare la carenza già di per sé importante”, ammette Francesco Coppolella, segretario regionale del sindacato Nursind. “Attività amministrative, di segretariato, piuttosto che pratiche ausiliare o di supporto che nulla hanno a che fare con l’assistenza spesso rappresentano parte del lavoro e non dovrebbe essere così. Lavoro che invece dovrebbe essere fatto da altri che non ci sono, facendo spesso diventare l’infermiere un tuttofare. Negli ospedali – aggiunge il sindacalista – ci si può permettere colpevolmente di fare a meno di tutte le figure, tranne che dell’infermiere sul quale spesso ricadono queste carenze. Tempo tolto all’assistenza”.

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