STATO DI SALUTE

Qualità della sanità, Italia divisa. Veneto al top, Piemonte benino

L'amministrazione di Zaia si conferma in vetta alla classifica anche nel rapporto Crea. Passa l'esame il sistema piemontese, ma con ancora forti criticità nelle liste d'attesa e nella medicina del territorio. Promosse solo otto Regioni, tutte al Nord

Otto Regioni promosse, ma di cui solo Veneto, Trento e Bolzano con ottimi voti. È il rapporto “Le Performance Regionali” del Crea-Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità. In tutto sono sette le regioni rimandate e sei le bocciate, in base a una valutazione su sei dimensioni che vanno dall'appropriatezza e l'equità delle cure agli aspetti economico-finanziari e l'innovazione.

La pagella divide in due l'Italia, con “circa 29 milioni di cittadini residenti nelle prime 8 Regioni che possono stare relativamente tranquilli e altri 29 milioni nelle Regioni rimanenti, quasi tutte del Centro Sud, che potrebbero avere serie difficoltà nei vari aspetti considerati”. L'analisi dei risultati delle Regioni e le relative valutazioni sono state assegnate, per l'undicesima edizione del rapporto, da oltre 100 esperti raggruppati in un panel composto da esponenti di istituzioni, management aziendale, professioni sanitarie, utenti, industria medicale.

Veneto, Trento e Bolzano hanno ottenuto il miglior risultato 2023 (con punteggi che superano la soglia del 50% del risultato massimo ottenibile) Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Lombardia e Marche vanno abbastanza bene, con livelli dell'indice di performance compresi tra il 47% e il 49%. Rimandate invece Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Umbria, Molise, Valle d'Aosta e Abruzzo, che raggiungono livelli di performance abbastanza omogenei, seppure inferiori, compresi tra 37-43%, Sicilia, Puglia, Sardegna, Campania, Basilicata e Calabria, hanno livelli inferiori al 32%.

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L’esito delle valutazioni porta solo il Veneto insieme alle due Province autonome a ottenere il miglior risultato con punteggi che superano la soglia del 50% del risultato massimo ottenibile. Un esito che non stupisce: la Regione guidata da Luca Zaia da tempo è un esempio virtuoso e non ancora eguagliato della gestione del sistema sanitario con un connubio ottimale tra pubblico e privato, con orari prolungati negli ospedali e negli ambulatori, così come una medicina del territorio che ha dato prova della sua efficienza anche nella difficile emergenza Covid.

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Il Piemonte esce abbastanza bene dalla valutazione, pur non avvicinandosi ai livelli del Veneto, ma assestandosi in una posizione da cui è possibile migliorare ancora. Ottiene un 0,49 nell’indice generale delle performance, che cala a 0,41 per quanto riguarda la valutazione degli utenti, risale di poco (0,43) sul fronte delle istituzioni mentre supera di un punto la soglia del 50 per le professioni sanitarie; cala nuovamente nel giudizio del management aziendale (0,47) per arrivare al picco di 0,62 sul fronte dell’industria. Gli stackeholder erano chiamati a pronunciarsi su una griglia di diciotto indicatori, tra cui le difficoltà di accesso ai servizi, le rinunce a cure e accertamenti, il tasso di anziani assistiti a domicilio, la spesa sanitaria procapite, l’implementazione della rete oncologica. E proprio su alcuni di questi punti il Piemonte ha rimediato un segno rosso della matita: non va bene per quanto riguarda la quota, ancora troppo alta, di persone che rinunciano alle prestazioni sanitare per motivi economici, distanza o tempi lunghi delle liste d’attesa. Ancora troppo basso il numero di anziani seguiti dall’Adi, l’assistenza domiciliare integrata, uno dei pilastri della medicina territoriale.

Un dato certo emerge dal rapporto: “Tutti gli stakeholder – spiega Tonino Aceti presidente di Salutequità – vogliono un servizio sanitario nazionale in grado di garantire equità di accesso all'assistenza sanitaria e sociale in tutte le Regioni ma anche la cura giusta, al paziente giusto e soprattutto al momento giusto, senza liste di attesa infinite. In tre parole equità, appropriatezza e personalizzazione delle cure”. Ma c’è un aspetto ulteriore, non certo marginale, messo in evidenza: “Il servizio sanitario per rilanciarsi dovrà scongiurare il rischio di autoreferenzialità, sapendo meglio ascoltare e considerare le esigenze e le aspettative di tutti gli attori che lo animano e lo utilizzano a partire dai pazienti cittadini, professionisti sanitari, imprese, insomma misurarsi con il cambiamento continuo per essere al passo con i tempi e in grado di intercettare i veri bisogni della società che sono in costante evoluzione”.

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