Fermare i nuovi Attila

Economia green, sostenibilità ambientale, lotta al riscaldamento globale, energia pulita: sono parole che sentiamo ripetere quotidianamente da opinionisti, esperti e assessori vari. I buoni propositi a favore della tutela del pianeta sembrano appartenere oramai davvero a tutti: vengono annunciati addirittura dalla Confindustria e ripresi, a gran voce, da una buona parte della politica (soprattutto europea).

Da tempo, gli studenti più giovani scendono in piazza per gridare aiuto in sostegno di un mondo che la nostra umanità pare voglia distruggere, infliggendogli pure una lenta agonia. I manifestanti, compresi coloro che gettano vernice lavabile sui capolavori artistici, tentano tenacemente di richiamare l’attenzione dei leader governativi (non solo nazionali) per sensibilizzarli sulla necessità di pervenire ad un radicale cambio di marcia nelle scelte di sviluppo industriale.

In tutti, quindi, vi è la consapevolezza sull’urgenza che l’economia globale cessi di condurre l’umanità verso l’estinzione. L’industria sembra aver colto l’appello, creando prodotti pronti a soddisfare le esigenze consumistiche del nuovo ecologismo; i parlamenti europei invece varano misure drastiche al fine di garantire la coibentazione degli edifici, insieme alla fine della produzione dei veicoli a benzina. Tutto diventa ancora una volta business, e il libero mercato trova il modo per favorire qualche corposo profitto.

Il pianeta, a quanto pare, ha ritrovato una schiera di amici, seppur mossi da interessi. Qualcuno di loro, in primis gli imprenditori convertiti strumentalmente al green, si arricchirà ulteriormente, ma il loro incremento patrimoniale (dicono) è un piccolo dazio da pagare in cambio della svolta epocale nella lotta contro il martoriamento del nostro ecosistema.

In realtà ovunque la parola d’ordine è “cementificare”, e alcune opere logistiche di grande impatto sul territorio vengono improvvisamente dichiarate essenziali per il benessere collettivo. Porti turistici, tratte ferroviarie ad alta velocità (che attraversano gallerie scavate nella roccia per decine di chilometri), ponti fantascientifici che dovrebbero collegare la Sicilia con la Calabria, superstrade e centri residenziali di lusso sono quanto la politica intende coniugare con la salvaguardia del nostro globo (sempre meno) azzurro. Un saccheggio ai danni della Natura che include tristemente anche la distruzione di parchi cittadini e la tabula rasa di interi viali alberati.

La via ecologista dell’amministrazione torinese passa per un paradossale sfruttamento delle aree verdi cittadine, le quali vengono messe a reddito nei modi più incredibili. Il Parco del Meisino, delimitato dal Po e da una magnifica zona collinare, è stato fatto rientrare nei finanziamenti del Pnrr, con un progetto che prevede interventi edificatori e l’eliminazione di numerose piante d’alto fusto. Quello della Pellerina, ampia area attraversata dal fiume Dora Riparia, si prepara invece ad un’invasione di ruspe e di cemento armato, in seguito alla decisione di insediarvi all’interno un ospedale, con tanto di aree di servizio e parcheggi.

La stessa Piazza d’Armi, grande rettangolo verde adiacente allo Stadio Olimpico, è interessata dall’ennesimo intervento progettuale che presumibilmente non prevederà il recupero dell’area camper dismessa tramite una massiccia ripiantumazione e la messa a dimora di tappeti verdi. Quanto avvenuto di recente nella Circoscrizione di competenza territoriale è la conferma dell’arrivo di una ennesima colata di calcestruzzo in un parco: la giunta, infatti, ha bocciato una mozione consiliare che chiedeva di impegnare la Città a riposizionare alberi e manto erboso laddove oggi insiste una spianata di cemento misto terra battuta.

L’esecutivo torinese non cela una vera e propria avversione per gli alberi, oltre che per i prati. Abbattimenti sono in agenda ovunque, ed il più clamoroso è quello previsto in corso Belgio. Il piano comunale prevede infatti lo sradicamento di centinaia di aceri (in numero di 284), a cui dovrebbe seguire il posizionamento di peri e altre specie dal fusto decisamente più piccolo. Non è comprensibile il motivo di uno tale scempio, così come deprime il taglio di circa 90 piante nel Parco Rignon. Le giustificazioni pervenute dall’istituzione comunale, in merito all’uso continuo delle motoseghe, non peccano certo per eccesso di trasparenza.

Verrebbe da pensare che la lobby dei falegnami abbia più potere sulla politica di quanto si possa immaginare. Alcune affermazioni pubbliche rilasciate da membri della giunta (solitamente viene ricordata quella oramai famosa, e particolarmente cinica, sugli anziani rimasti senz’ombra) sembrano indicare soprattutto una buona dose di disinteresse del sindaco nei riguardi del territorio nonché dei cittadini.

La mattanza di alberi prevista in corso Belgio ha destato l’ira dei residenti, i quali sono corsi in aiuto alle piante di alto fusto. Alcuni cittadini hanno addirittura deciso di passare le notti al loro fianco, cosicché impedire ai taglialegna di compiere il loro lavoro. I giornali raccontano la nascita di un secondo movimento No Tav nel cuore di Torino, pronto a dar battaglia per l’integrità delle alberate stesse (una sorta di “Resistenza Verde”).

Gli organizzatori del Premio Attila, assegnato ogni anno al miglior distruttore dell’Ambiente, sono in grave difficoltà nell’esame della candidatura di chi amministra il capoluogo piemontese. La scelta del nuovo campione si profila non facile: scegliere un vincitore in mezzo a una rosa così ricca di potenziali Attila è davvero arduo.

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