Insegnamenti (dimenticati) di Bettazzi

Ci ha lasciato un uomo umile e gigantesco nella sua fede “terrena”. Mons. Luigi Bettazzi rappresentava un mondo fatto di poveri e lavoratori, un mondo di fede che si intrecciava con quel sindacalismo di ispirazione cattolico ma fortemente laico che ha caratterizzato per una lunga stagione la Cisl. È stato riferimento indiscusso e autorevole nella sua semplice saggezza e gestualità per il dialogo con i non credenti e per il movimento pacifista essendo stato anche per anni presidente di Pax Cristi.

Pochi, forse, ricordano che nel1978, insieme a altri due vescovi, Clemente Riva e Alberto Ablondi, chiese al Vaticano di potersi offrire prigioniero in cambio della liberazione di Aldo Moro. La richiesta venne fermamente respinta. Mons. Bettazzi raccontò che, quando fece presente che si trattava di una vita umana e non di un fatto politico, ricevette in risposta la frase: È meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera” (citazione da Gv 11,50): allora capì che la morte di Aldo Moro era ormai decisa, anche da parte della Curia romana.

Nel 1976/77 divenne importante per milioni di cattolici il celebre carteggio tra Monsignor Bettazzi e Il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, per il quale fu aspramente criticato, sulla conciliabilità o no della fede cattolica con l’ideologia marxista, o comunque con l’adesione al Partito comunista. In quegli anni il mondo cattolico era scosso, si interrogava sul rapporto con la politica.

Ancora sull’onda della “Camminare Insieme” del Cardinal Pellegrino, ricordo che l’impatto fu veramente notevole sulla gente comune: caso emblematico del momento fu anche mio padre che per la prima volta alle elezioni amministrative torinesi del 1975 votò Pci anziché Dc. Bettazzi percorse quel canale aperto da Pellegrino sui preti e le suore nel mondo del lavoro; un’esperienza feconda per i lavoratori, per il sindacato, per la Cisl.

Il cardinal Pellegrino e monsignor Bettazzi furono fonte d’ispirazione di tanti militanti sindacali, di tante persone semplici e umili che hanno messo a disposizione il loro tempo donando impegno agli altri. Valori dimenticati, etica travolta laddove oggi si usano le risorse sindacali a fini personali e non conta se restituisci la millesima parte dell’abuso, perché restituire è ammissione di colpa. Colpe le cui tracce sono indelebili, incancellabili nel tempo e testimoniate dai report e non solo. Ancor più grave se esistono accordi secretati perché si diventa complici se la pena non è adeguata. E non è adeguata. Se, in un ipotetico esempio, mi intesto un mezzo di locomozione proprio ma lo paga l’organizzazione è una traccia che non si perde oltre che una violazione statutaria e del codice etico.

Allora cosa ci è rimasto di quel periodo fecondo di partecipazione? Poco! Attivisti e militanti sparsi e coi capelli grigi ma ancora tanta voglia di trasmettere alle nuove generazioni, ai nuovi gruppi dirigenti che spesso, purtroppo, preferiscono cancellare la memoria storica per non dover fare i conti e soprattutto vedere il divario tra spessore etico e morale e il ripiegamento su sé stessi dove prevale la propria carriera e lo status personale sul resto. La dice tutta, anche, il breve comunicato unitario che ha ricordato la scomparsa di monsignor Bettazzi, quasi un fastidio, eppure bastava andare su Wikipedia, per chi non ha memoria storica o ha fastidio nel riflettere e pensare, per trovare argomenti. La conoscenza nasce dalla documentazione e dalla documentazione nascono idee. D’altra parte i rapporti con il mondo cattolico, molto normalizzato con la fine dell’esperienza dei preti operai, nonostante un fervido lavoro della Pastorale del Lavoro in questi anni, che però stenta a trovare interlocutori sindacali e non basta l’incontro periodico con il vescovo di Torino per sostenere che abbiamo un rapporto fecondo, costante perché, di fatto, non si vede l’azione concreta sul territorio.

Ma queste sono opinioni di uno che non rinuncia all’afflato critico per costruire e quindi minoritario dove oggi prevale muovere la testa da nord a sud e basta. Ricordare Bettazzi è scomodo per la nostra comodità sindacale raggiunta perché ci ricorda impegno, perseveranza, valori e etica. Insomma sacrificio personale per donarsi agli altri.

Concludo citando un mio Maestro sindacale, Armando Pomatto, che su facebook ha scritto questo suo personale ricordo di Monsignor Bettazzi: “Qualche anno fa in una delle mie visite nel suo Ritiro di Albiano, monsignor Bettazzi mi confidò: “Cerco di tener desto il mio spirito scrivendo ogni anno un libro”. Questa confidenza è stata per me un salutare stimolo. Ma la stima e la costante attenzione verso l’operato del vescovo di Ivrea era già stata sollecitata decenni prima, nel 1965 prima della chiusura del Concilio, quando seppi della sua presenza alle catacombe di Santa Domitilla con una cinquantina di vescovi, che si erano impegnati a far vivere e testimoniare nelle loro comunità la "Chiesa dei poveri". Questo “Patto delle catacombe” ha costituito per me uno dei frutti più alti dell’esperienza conciliare che ha illuminato la vita e l'azione pastorale di mons. Bettazzi: una Chiesa che si spoglia di ogni potere (anzitutto del clericalismo) e si fa vicina ad ogni sofferenza umana, condividendone sogni e speranze per una vita diversa”.

E ancora il Card. Martini, allo stesso modo, sottolinea nel suo bel libro “Conversazioni notturne a Gerusalemme”: “Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balia degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siamo credenti o non credenti”. Ecco. Ogni volta che una struttura – Chiesa, Sindacato, Partito – impedisce ai suoi associati, di dedicarsi al compito di pensare e di entrare così pienamente nella storia umana che li circonda, tradisce la sua missione e la fiducia delle persone che a lei guardano. Ma è ancora importante tutto ciò nel sindacato?

Buone vacanze, arrivederci a settembre!

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